L'eterno gioco tra Prodi e Berlusconi

Il professore dice che un governo con il Cav. non sarebbe un tabù e Silvio, alle prese col pestifero Salvini, si lascia coccolare. Il rimpianto per la Seconda Repubblica e la fine del bipolarismo. Forse

Salvatore Merlo

Sono una di quelle coppie di nemici solidali che l'Italia ha conosciuto in politica come nello sport, che quanto a tifo e retorica emozionale, tra eccessi e disfunzioni, tanto hanno in comune nel nostro paese: Coppi e Bartali, Togliatti e De Gasperi, Berlinguer e Almirante. E allora Romano Prodi e Silvio Berlusconi si sono combattuti per vent'anni, certo, ma anche si sono sopportati, per tutta la vita: nel teatro dell’economia pubblica e privata, nei tribunali, alle elezioni. E adesso, alla fine, entrambi ottuagenari, circondati come sono da un mondo di vaffa e di sovranismi, quasi si somigliano. L'uno ancora libertino, amante della goliardia e delle barzellette, l’altro sempre accorto come un curato, ma entrambi assestati – “la vecchia porta saggezza”, ha detto Prodi – al punto di rassomigliarsi come e più di prima.

 

E dunque si cercano. Come a voler ricomporre un equilibrio perduto. Così, mentre il Parlamento si appresta a discutere di una riforma elettorale proporzionale che ha bisogno dei voti di Forza Italia per passare, proprio quando le Camere tentano di mettere il sigillo sulla fine (chissà) del periclitante bipolarismo, ecco le carinerie – e forse l'abbraccio – tra questi due uomini che incarnarono il tempo felice e tumultuoso del maggioritario al potere, dell'Ulivo e del Polo, dell'Unione e del Pdl…

  

Il professore dice che un governo con il Cavaliere non sarebbe un tabù, mentre Berlusconi, alle prese col pestifero Salvini, si lascia volentieri coccolare da quella sinistra in difficoltà che al governo ce lo vorrebbe portare davvero anche per approvare la riforma proporzionale. Ed è allora ultra simbolico e significativo il ritorno, insieme, delle due icone del bipolarismo proprio nei giorni in cui al bipolarismo si vuol fare il funerale.

 

C’è qualcosa di simpatico, in questo strano, inaspettato riemergere dei nemici-solidali: il rimpianto. L’Italia rimpianse i Borbone e il Papa re, ha rimpianto la Dc, Andreotti e anche Craxi. E nel rimpianto di Prodi per Berlusconi, e chissà di Berlusconi per Prodi, s'occulta forse la fine della Seconda Repubblica proprio per mano dei suoi antichi artefici. C'è sempre un senso circolare nella storia, come nell'eternità della coppia.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.