È sempre doloroso puntare sul cavallo vincente (Edoardo Garrone) e poi – a duecento metri dal traguardo – vederlo “rompere” e cedere il passo all’antagonista. È così che gli imprenditori lombardi (con qualche eccezione) hanno vissuto la corsa alla presidenza di Confindustria vinta da Emanuele Orsini (a lungo ai vertici di Federlegno) e già vicepresidente di Confindustria, ad di Sistem Costruzioni. E pensare che la contesa era partita con obiettivi ambiziosi: l’idea degli industriali era quella di superare un quadriennio difficile a guida Carlo Bonomi individuando un successore in grado di dialogare col governo Meloni per superare le tante difficoltà del sistema industriale di un paese che – appena dopo la pandemia – di fronte a un debito pubblico arrivato al 134 per cento del Pil, con due guerre ai confini dell’Europa (e il semiblocco navale del canale di Suez), oggi si permette il lusso potenzialmente suicida di non accogliere il nuovo Patto di stabilità voluto da Bruxelles, Gentiloni e Giorgetti compresi.
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