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La rincorsa folle del Pd sulla prescrizione

Ermes Antonucci

I Dem, con Leu e M5s (Italia viva si astiene), dicono no alla discussione d'urgenza del pdl Costa che mira a bloccare l’entrata in vigore della riforma voluta dal ministro Bonafede. Intanto l'ex magistrato Caselli chiede di abolire anche l'appello

Il Partito democratico strizza inaspettatamente l’occhio al Movimento 5 Stelle sulla riforma della prescrizione. Questa mattina la Camera dei deputati ha infatti respinto la richiesta avanzata da Forza Italia di procedere con urgenza all'esame del progetto di legge presentato da Enrico Costa che prevede lo stop all’entrata in vigore della riforma che abolisce la prescrizione dopo una sentenza di primo grado (prevista il 1 gennaio 2020). Hanno votato contro l’urgenza M5s, Pd e Leu, mentre Italia viva ha deciso di astenersi, sollecitando il governo a trovare una soluzione, ma senza partecipare al voto “per non creare divisioni pretestuose nella maggioranza ed evitare strumentalizzazioni su un voto procedurale”. Favorevoli all’urgenza FI, Lega e Fratelli d’Italia.

 

La notizia principale, però, è che i democratici abbiano votato compatti a sostegno dell’alleato di governo pentastellato, tanto che la presidente della Commissione Giustizia della Camera, Francesca Businarolo, non ha potuto che esultare (“Chi si illudeva di far scattare una trappola deve prendere atto che ha fallito”), chiarendo i termini della discussione ancora in corso con i dem: nessun rinvio della riforma della prescrizione fortemente voluta dal Guardasigilli Alfonso Bonafede è contemplata, mentre “ora occorre affrontare il nodo dell'organizzazione degli uffici per consentire che la riforma funzioni evitando una eccessiva durata dei procedimenti”.

 

Così, mentre il deputato e capogruppo di Forza Italia in Commissione Affari costituzionali, Francesco Paolo Sisto, accusa il Pd di essere “succube del M5s”, i dem provano in qualche modo a tenere alta la testa, seppur in maniera non del tutto convincente. Walter Verini, che in Aula ha annunciato il voto contrario del Pd alla “richiesta strumentale di urgenza” del pdl Costa, ha lanciato un messaggio ai grillini: “Per noi è inaccettabile l'entrata in vigore della riforma della prescrizione senza garanzie certe e cogenti sulla durata dei processi. Continuiamo il confronto con spirito costruttivo che auspichiamo anche da Bonafede. Se così non sarà, il Pd presenterà le sue proposte”.

 

Il problema, come ricordano gli avvocati penalisti con lo sciopero e la maratona oratoria di questi giorni, è che l’entrata in vigore della riforma è ormai imminente, ed è difficile immaginare che le forze di maggioranza raggiungeranno un’intesa sul “processo breve” prima del nuovo anno. Come se non bastasse, il confronto dei dem con Bonafede, che ormai va avanti da tre mesi, non ha prodotto alcun risultato degno di nota.

 

In questo contesto fatto di tensioni e trattative, spicca l’incredibile proposta avanzata su Huffington Post dall’ex magistrato ed ex procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli: “Aboliamo l’appello”. Dopo aver celebrato la riforma della prescrizione, Caselli spiega: “Il nostro sistema processual-penale dal 1989 è di tipo accusatorio. Nei paesi di rito accusatorio di regola vi è un unico grado di giudizio, con possibilità in casi particolari di ricorrere ad una Corte suprema. Da noi invece, tra riesame e giudizi incidentali vari, tra interventi del gip e del gup, tra tribunale Appello e Cassazione (con possibilità di un reiterato ‘andirivieni’ fra le ultime due istanze), di gradi di giudizio ne abbiamo una pletora. Siamo dunque di fronte a una grave anomalia (oltre a quella della prescrizione) rispetto agli altri paesi di democrazia occidentale, un’anomalia che è appunto di sistema e che come tale va corretta riducendo drasticamente i gradi di giudizio”.

 

Insomma, secondo Caselli le anomalie del sistema processuale accusatorio italiano non sono da rintracciare nella partecipazione di pm e giudici a un medesimo corpo di magistrati, né nella discrezionalità assoluta con cui viene esercitata l’azione penale (a dispetto del principio di obbligatorietà), né nell’inaccettabile lentezza del sistema giudiziario durante la fase delle indagini preliminari, in cui finisce in prescrizione il 75 per cento dei procedimenti, né tantomeno nelle infernali commistioni tra uffici di procura (e polizia giudiziaria) e giornalisti, e nella gogna mediatico-giudiziaria che ne risulta. No, per l’ex procuratore di Palermo, l’anomalia della giustizia italiana sarebbe rappresentata dal giudizio di appello, cioè l’unico argine ai tanti errori giudiziari che avvengono nel primo grado di giudizio. Forse perché in fondo, come insegna Piercamillo Davigo, siamo solo tutti colpevoli non ancora scoperti.