Alfonso Bonafede

La prevalenza culturale di Bonafede, ministro manettaro, nel M5s

David Allegranti

I grillini cercano una nuova leadership ma hanno già un campione che indica la rotta: prescrizione, Conte, Lanzalone

Roma. Da settimane se non mesi, dopo la cenciata alle Europee e quella in Umbria, il M5s sta cercando di capire se Luigi Di Maio sia adatto a svolgere il ruolo di capo politico del M5s e chi potrebbe esserne l’erede favoloso. Eppure dubbi non dovrebbero esserci: in casa ha un politico di razza di tutto rispetto, almeno secondo i canoni grillini, si chiama Alfonso Bonafede ed è già al secondo governo come ministro della Giustizia. Mentre tutt’attorno le certezze crollano, Bonafede è diventato l’architrave del grillismo, come testimonia il traguardo raggiunto della nuova prescrizione che entrerà in vigore a gennaio. Contestata da molti, compresa l’Unione delle Camere Penali Italiane, la riforma Bonafede abroga di fatto la prescrizione dopo una sentenza di primo grado (che sia di condanna o di assoluzione è uguale).

   

Insomma, fine processo mai grazie alla riforma che, ha spiegato di recente il Foglio, interessa solo il 25 per cento dei procedimenti, perché, secondo le statistiche dello stesso ministero della Giustizia, il 75 per cento delle prescrizione matura durante le fasi delle indagini preliminari (53 per cento) e del procedimento di primo grado (22 per cento). I Cinque stelle hanno egemonizzato culturalmente il Pd, imponendo le loro tutt’altro che allegre sortite, e Bonafede ancora una volta ricopre un ruolo centrale nel processo di barbarizzazione. Sono ormai lontani gli anni da vocalist (Fofo Dj si faceva chiamare), della candidatura a sindaco di Firenze nel 2009, quando prese appena l’1,8 per cento, o di quella alle parlamentarie, grazie alle quali fu eletto deputato con appena 227 preferenze, e delle dirette streaming del consiglio comunale. Sono persino lontani i tempi dello studio da avvocato Bonafede & partners in via Lamarmora a Firenze, che ancora esiste e opera anche senza il ministro, condiviso con l’avvocato Enrico Del Core, pure lui ministro anche se di Scientology. Oggi il Bonafede, originario di Mazara del Vallo, è alle prese con temi altri e alti, come le carenze del sistema giustizia, a partire della mancata assunzione di 251 magistrati di cui il Foglio si sta occupando da giorni.

   

Nel fine settimana era a Genova per il convegno dell’Anm e il ministro s’è vantato di nuovo dell’“ampliamento della pianta organica di 600 magistrati” così come l’assunzione nel 2020 di “4.400 persone nuove”. Poi, rivolto ai magistrati che hanno vinto il concorso e che ancora non sono stati assunti (una parte dei quali presenti in platea), il ministro ha detto: “Lo so, ci sono tante persone in attesa. Ci vuole tempo per le procedure d’assunzione e i concorsi previsti dalla legge”. Nessun cenno ai quattrini che mancano, dei quali però forse Bonafede o un suo sottosegretario dovranno dare conto questa settimana in un question time sollecitato da due interrogazioni (una di Fratelli d’Italia, l’altra di Forza Italia) presentate da giorni.

  

Insomma, il ministro della Giustizia, amico di Beppe Grillo e per questo tenuto in considerazione dai grillini già quando era uno sconosciuto del Meetup di Firenze, non è un passante della storia. O meglio, un passante lo è, ma secondo il canone a Cinque stelle assurge al rango di statista. Se Carlo Sibilia fa il sottosegretario all’Interno, Paola Taverna la vicepresidente del Senato, il Bonafede può essere, in questo pazzo paese, il ministro della Giustizia. Non solo. Se abbiamo Beppe Conte presidente del Consiglio il merito è suo, visto che lo ha suggerito lui. I due si conoscono dai tempi dell’Università, quando Conte insegnava diritto privato a Firenze e Bonafede, che ha un dottorato di ricerca e formalmente faceva il cultore della materia per la cattedra di Giorgio Collura, in realtà lavorava per lo stesso Conte. Non solo. E’ stato lui a portare a Roma Luca Lanzalone, avvocato, già presidente di Acea dopo essersi occupato della partecipata dei rifiuti Aamps al Comune di Livorno. “E’ una persona che si era ben segnalata a Livorno. Aveva pertanto la nostra fiducia e per tale ragione è stata presentata alla sindaca”, ha raccontato Bonafede dopo l’avvio delle indagini su Lanzalone.

    

Chi dunque meglio di Bonafede per rappresentare il M5s? Secondo uno studio di Reputation Science, che ha stilato una classifica sulla web reputation dei ministri del governo, Conte è al primo posto per popolarità – come dicono già altri sondaggi – ma al terzo posto c’è proprio lui, il ministro della Giustizia, che agli intervistati piace anche perché si scaglia contro decisione della Cedu sul carcere ostativo. E come avrebbe potuto fare diversamente un allievo culturale e spirituale di Nino Di Matteo e Piercamillo Davigo?

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.