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La vicenda di Matteo Sereni. Un altro caso di ordinaria malagiustizia

Ermes Antonucci

Il tribunale di Torino ha archiviato il procedimento a carico dell’ex portiere. Cosa insegna questo processo durato nove anni e nato in seguito a una burrascosa separazione dalla moglie

Il tribunale di Torino, su richiesta della procura, ha archiviato il procedimento a carico dell’ex calciatore Matteo Sereni, accusato di abusi sessuali nei confronti della figlia minorenne. Una vicenda dolorosissima per l’ex portiere di Lazio, Sampdoria, Brescia e Torino, durata ben nove anni e nata in seguito a una burrascosa separazione dalla moglie. Una storia che, allo stesso tempo, consegna almeno tre spunti di riflessione legati all’attualità della malagiustizia italiana.

 

Primo: Sereni è stato prosciolto dopo nove anni pieni di sofferenze (per diverso tempo l’ex portiere non ha potuto vedere i figli e il rapporto con quest’ultimi è ormai compromesso) e al termine di una vicenda giudiziaria molto travagliata. Sulla base delle accuse di abusi sessuali avanzate dall’ex moglie, nel 2015 il tribunale di Tempio Pausania condannò Sereni con una sentenza che fu annullata due anni dopo dalla Corte d’appello di Sassari. I giudici per competenza territoriale disposero il trasferimento della causa nel capoluogo piemontese, dove ora il procedimento è stato archiviato. Le ripercussioni della vicenda sono state devastanti, per Sereni come per i figli, eppure sarebbe potuta andare anche peggio. Dal 1 gennaio 2020, infatti, con l’entrata in vigore della riforma della prescrizione voluta dal Guardasigilli Alfonso Bonafede e dal M5s, una vicenda analoga potrebbe durare un tempo indefinito. Se già oggi un processo per presunta violenza sessuale su minore può durare oltre 16 anni prima di finire in prescrizione (senza tener conto delle interruzioni), domani un padre di famiglia potrebbe essere accusato e messo alla gogna anche per 30 o 40 anni.

  

Secondo elemento di riflessione: in primo grado Sereni venne condannato e fu solo la Corte d’appello di Sassari, annullando la sentenza e spedendo gli atti a Torino, a sistemare un processo ingiusto. Questo dovrebbe servire da lezione per chi, come l’ex magistrato Gian Carlo Caselli, negli ultimi giorni ha persino avanzato la proposta di abolire il grado di appello, ritenendolo un’inutile perdita di tempo. L’appello, al contrario, si conferma essere un argine fondamentale ai tanti errori giudiziari che avvengono nel primo grado di giudizio. Ciò smentisce anche i presunti “giustizialisti moderati” che, per addolcire la pillola dell’introduzione del processo infinito, propongono di modificare la riforma e applicarla solo ai condannati in primo grado.

 

Il terzo spunto di riflessione è legato al delicato tema dell’ascolto dei minori vittime di presunti abusi sessuali, e al rischio che questi possano essere condizionati dall’atteggiamento degli adulti, finendo per elaborare “falsi ricordi” su violenze mai avvenute. “Nel caso in esame – scrive il gip di Torino, Francesca Firrao, nell’ordinanza di archiviazione del procedimento su Sereni – quasi tutti i magistrati che se ne sono occupati hanno evidenziato che i minori sono stati in più occasioni sentiti con modalità inappropriate (domande incalzanti e suggestive)”. Si sono cimentati negli “interrogatori” una serie di consulenti tecnici in ambito sia penale che civile, come pure gli “adulti di riferimento” sia dentro che fuori le aule di giustizia. “L'argomento è stato affrontato senza cautele”, sottolinea il giudice, e “nel tempo le modalità di audizione sono state non rispettose delle cautele richieste da tutti gli esperti del settore per preservare la genuinità del racconto da parte di bambini così piccoli”. Si tratta dello stesso problema emerso nel caso di Bibbiano, su cui ora indaga la magistratura, e in tutti gli scandali precedenti per abusi su minori in realtà mai avvenuti (dai “Diavoli della Bassa modenese” a Rignano Flaminio). Un problema che, come abbiamo raccontato, vede al centro una rete di psicologi, assistenti sociali ed educatori che non si rifanno alle regole individuate dalla comunità scientifica (come le linee guida della Consensus Conference o la Carta di Noto), bensì ad approcci dal taglio inquisitorio come quello del Cismai. Per il ministero della Salute e quello della Giustizia è giunto il momento di battere un colpo.

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