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Il problema è la giustizia deteriorata, non i crediti deteriorati delle banche

Maria C. Cipolla

Ridurre del 10 per cento la durata dei processi civili aumenta l’occupazione del 3 per cento, migliora i bilanci delle imprese e il mercato dei capitali, riduce il divario nord-sud. Uno studio

Milano. Guardavamo alle banche, invece, dovevamo andare a osservare da vicino i tribunali. A tutti quelli che da anni sono impegnati a trovare soluzioni per la patria dei capitalisti senza capitali, della nazione da quindici anni a crescita quasi zero, del paese deteriorato dai crediti con esso deteriorati, arriva un suggerimento da uno di quei luoghi a cui evitiamo di guardare: Francoforte. Qui alla Goethe university insegna l’italianissimo Vincenzo Pezone che ha pubblicato uno studio dal titolo da film western: “Gli effetti reali dell’applicazione della legge”. Sottinteso, neanche tanto implicito: semmai la legge venisse applicata. Lo studio di Pezone dimostra in maniera brillante che una riduzione della lunghezza dei processi civili del 10 per cento avrebbe un impatto rilevante sulla sporca economia reale: un aumento dell’occupazione a livello aziendale stimato tra il 2,9 e il 3,6 per cento oltre a essere correlato positivamente con un aumento del fatturato dell’impresa.

 

Che la capacità di una corte di portare a termine un processo civile in tempi ragionevoli, per di più se si tratta di questioni contrattuali e di proprietà intellettuale, possa avere un’influenza sulle performance economiche delle imprese che a quel tribunale sono obbligate a fare affidamento è un’ipotesi quasi intuitiva. Ma dimostrarlo scientificamente, e dimostrare quale impatto concreto possa avere, non è affatto scontato. Il ministero della Giustizia diffonde i dati sulla durata media dei processi civili per le diverse corti italiane, ma il problema, soprattutto in un paese che ne contiene altri cento come l’Italia, è isolare le differenze nella efficienza nell’amministrazione della giustizia da tutte le altre. Se si comparasse l’efficienza di un tribunale portoghese a uno italiano, ma anche di uno pugliese e di uno friulano per cercare di capirne l’impatto a livello economico finanziario, si rischierebbe per esempio di non considerare il peso delle differenze culturali e la loro rilevanza e influenza sul tessuto industriale. E lo stesso si può dire di altre decine di variabili. Per superare l’ostacolo Pezone ha avuto la brillante idea di isolare un momento in cui i nostri tribunali hanno subito uno choc esogeno, cioè un momento in cui il loro modo di lavorare è stato sottoposto a un cambiamento evidente con la riforma del governo Monti del 2013. Allora l’esecutivo dei tecnici fece quello che i politici non avevano avuto il coraggio di fare: una riorganizzazione del sistema giustizia che ha accorpato i distretti e soppresso 26 tribunali. Il risultato è che due istituzioni giudiziarie che prima avevano organizzazioni del lavoro e performance nella durata delle cause diverse, ad esempio il tribunale di Crema accorpato a quello di Cremona, sono diventate una sola istituzione. A questo punto, per isolare ancora di più il fattore giustizia, la lente della ricerca si è concentrata sulle città di confine, quelle – dice l’economista – che si trovavano al bordo dei due distretti giudiziari e dove è più probabile che gli altri fattori abbiano avuto la stessa evoluzione, facendo anche una controprova per scartare la possibilità che ci sia stato uno choc economico capace di influire negativamente sui tassi di occupazione dell’area.

 

Lo studio prende in esame la situazione tre anni prima e tre anni dopo la riforma, mettendo a confronto il distretto dove grazie all’accorpamento i tempi dei processi si sono ridotti e quello dove sono aumentati. “Qui le storie sono due”, riassume Pezone in una conversazione mattutina via Skype, “da una parte c’è l’occupazione che cresce nei luoghi dove la giustizia è più efficiente, dall’altra c’è un minore afflusso di capitali dove non lo è. Secondo le mie stime una diminuzione del 10 per cento delle durata della causa civile, cioè una riduzione rilevante aumenterebbe del 3 per cento circa l’occupazione nel mio campione di aziende, principalmente piccole e medie imprese. Ma questo tasso è ancora maggiore in imprese indebitate e che necessitano di capitali esterni. Questi risultati suggeriscono che il divario in termini di  qualità della giustizia sia responsabile di una parte importante del gap nei tassi di occupazione tra nord e sud”.

 

Facendo un calcolo retroattivo, lo studio stima che le differenze di applicazione della legge possano addirittura essere le responsabili per circa un quarto del gap occupazionale tra Settentrione e Meridione d’Italia. Quello che dimostra la ricerca, infatti, è che un aumento dell’efficienza del sistema giudiziario ha un effetto maggiore sulle imprese che hanno una maggiore incertezza a livello di risorse finanziarie e che operano in aree a basso capitale sociale. Questo perché dove c’è la protezione di una giustizia efficiente, fornitori, investitori e in genere la rete attorno all’azienda è maggiormente disponibile a prestare denaro. Il risultato è che le imprese che hanno maggiore bisogno di liquidità sono quelle che beneficiano di più della diminuzione della durata dei processi. Non solo. “I risultati”, si legge nelle conclusioni della ricerca, “sono anche più forti nelle aree con scarso sviluppo finanziario, come quelli con poche banche filiali, suggerendo che un’efficace applicazione della legge può essere un potente sostituto delle banche locali”. In un paese come il nostro, il fatto che tribunali realmente efficienti possano aumentare l’afflusso di denaro “esterno”, non legato a vincoli territoriali, dovrebbe far correre la politica a riformare la giustizia.

 

In un’economia globale sempre più legata al modello del venture capital, dovrebbe essere una necessità. In un paese che ha una drammatica lacuna di capitale sociale al Sud, dovrebbe essere la priorità. In una nazione che ha avuto la conferma amara con la crisi finanziaria di quanto il nostro sistema sia bancocentrico, che, al Sud come al Nord, ha avuto una storia di rapporti bancari inquinati da relazioni clientelari, dovrebbe essere un’emergenza. Noi guardavamo alle banche, il dito, ma la luna è la giustizia.

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