Alfonso Bonafede, ministero della Giustizia - Presentazione della legge "Codice rosso" (foto LaPresse)

Abusivismo giudiziario

Maurizio Crippa

Snaturare la garanzia dei tempi di prescrizione significa ignorare, scientemente, lo stato di diritto

C’è questo signor Pace proprietario della villetta abusiva di Casteldaccia, alluvionata già dieci anni fa, che dice “non ho avuto nessun risarcimento, ho dovuto pagare tutto io”. Il cronista di Repubblica neppure replica, forse è basito. Che c’azzecca l’abusivo non risarcito con l’allungamento della prescrizione, con il “fine processo mai”? In superficie nulla, ma non è necessario essere antropologi dell’amoralismo italiano per accorgersi di un dato. La base elettorale che ha sospinto al governo partiti che vogliono “fermare la prescrizione, basta corrotti e mafiosi impuniti” (Nino Di Matteo, il Fatto) è imbevuta di una cupa pulsione popolana per la condanna degli altri, “quelli al potere”, sempre e comunque – un aggiornamento all’èra bolsonara del feudale “cafoni contro signori” – o per la messa in stato di gogna permanente di chiunque non sia “me”. È questa pancia borbogliante del paese, così paradossalmente simbiotica con l’amoralismo legibus (auto) solutus, a sostenere partiti che l’abolizione della prescrizione l’hanno messa nel programma di governo, dopo essersela fatta dettare (dettare, non spiegare) da una scuola di magistrati moralizzatori e anti garantisti come mai si era vista prima.

   

  

A tutto tenere è l’ignoranza e noncuranza dello stato di diritto: per cui vale per me soltanto quello che nell’anarchia mi fa comodo. E invece gli altri, colpevoli a prescindere. “Esistono solo colpevoli che non sono ancora stati scoperti” è del resto la fatwa della Guida suprema Piercamillo Davigo: il prolungamento infinito della imputabilità che diventa già punizione. Ma se siamo al punto che il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, può affermare: “La riforma della prescrizione è stata votata dai nostri iscritti sulla piattaforma Rousseau, è uno dei punti del contratto di governo e, prima ancora, parte integrante del programma del Movimento cinque stelle”. Se siamo al punto che le riforme dei codici di procedura le decidono gli iscritti alla piattaforma Rousseau, non esattamente una platea di giuristi, c’è un motivo. Non c’è la volontà di abolire la prescrizione perché ci sono i Bonafede, o perché è scritta nel programma. C’è perché un paese giuridicamente incivile la vuole.

  

Poi c’è ovviamente la parte politica. E la radice anti garantista e del M5s (ma anche della Lega: a ogni buon conto, “nata per combattere corrotti e corruttori”) con i suoi cattivi maestri. L’idea di voler fermare la prescrizione dopo il primo grado (secondo Di Matteo, altro nume tutelare, meglio dopo il rinvio a giudizio) è, se si può dir così, profondamente pensata. Il M5s nella scorsa legislatura voleva la prescrizione addirittura dall’inizio del processo, “quando l’indagato diventa imputato”. Chiedeva un “allungamento anche minimo” dei tempi. Esempio: per la “corruzione semplice” da 6 a 18 anni, per la bancarotta semplice da 6 anni a 18 anni. Il triplo. Ora con l’emendamento ballerino si tratta sul primo grado, finirà come finirà. Ma dietro a questa inciviltà giuridica, che fa carne di porco delle garanzie del cittadino, c’è una logica.

 

Il pensiero di una certa parte della magistratura (non tutta, anzi dalla barbarie è possibile che ci salvino proprio i magistrati migliori) che negli ultimi 40 anni anziché perseguire serenamente i reati contro la Pubblica amministrazione ne ha fatto il bersaglio mobile di campagne per accrescere la propria discrezionalità. Che ha fatto spesso strame delle garanzie. Che ha nascosto dietro alle supposte pastoie del garantismo la propria incapacità di chiudere i processi (spesso per la aleatorietà degli impianti accusatori dei cosiddetti reati dei colletti bianchi). C’è una generazione di magistrati che è cresciuta in questa filosofia, alimentandosi vicendevolmente con una incultura politica che ha usato la giustizia come arma di potere, alimentando il populismo del “tutti corrotti, tutti colpevoli”. Ora questo coacervo di pulsioni e strategie è arrivato al governo col progetto di ignorare lo stato di diritto. Ignorantia legis non excusat, si dice, ma qui l’ignoranza riguarda proprio le basilari norme del diritto, tra le quali la lunghezza ragionevole del processo. Quello del ministro Bonafede e del M5s non è solo primitivismo giuridico, è abusivismo, perché prevarica ciò che è la cultura giuridica. Abusivi dello stato di diritto.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"