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La vera emergenza della giustizia italiana coincide con la durata dei processi

Annalisa Chirico

"Più grave della corruzione è il danno che reca all’economia italiana la lentezza dei procedimenti civili", dice Carlo Nordio. Un dossier a Cernobbio

Roma. Chi governa dovrebbe badare alla realtà più che alla propaganda. Da qualche anno, in Italia, il dibattito sulla giustizia si svolge attorno a due parole chiave, corruzione e prescrizione. Non è un caso che il primo pacchetto di misure voluto dal governo gialloverde sia stato ribattezzato “spazza-corrotti”: malgrado le perplessità del vicepremier Matteo Salvini (“E’ un provvedimento manettaro”), il guardasigilli Alfonso Bonafede fa sapere che Daspo e agenti infiltrati “consentiranno agli imprenditori onesti di vincere le gare d’appalto”. Ma la sacrosanta crociata contro le mazzette è sufficiente a riparare una macchina in panne? “La risposta è negativa – replica tranchant l’ex procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, di ritorno dal Forum di Cernobbio dove ha discusso la ricerca sul tema curata da The European house Ambrosetti – Più grave della corruzione è il danno che reca all’economia italiana la lentezza dei procedimenti civili. Una giustizia paralizzata impedisce la riscossione dei crediti, l’adempimento delle obbligazioni e, più in generale, la definizione dei rapporti giuridici controversi. Il provvedimento, annunciato dal governo, riflette un approccio emotivo ai guasti della giustizia: esso aumenterà l’incertezza normativa non solo sulla tipicità dei reati ma anche sulla condotta delle indagini, cosicché ogni pubblico amministratore, già rallentato dal timore di essere indagato per abuso d’ufficio, lo sarà ancor di più dal sospetto e dalla paura di avere in mezzo a lui degli agenti che operano nell’ambiguità”.

 

Nelle centodieci pagine dello studio presentato a Villa d’Este, l’eccessiva durata dei procedimenti si conferma il principale elemento di criticità. L’analisi, rivolta principalmente alla business community, si concentra sulle controversie commerciali e sulla giustizia civile al fine di potenziare la vitalità economica del contesto nazionale. I tempi pachidermici e gli elevati costi legati all’enforcement dei contratti hanno un impatto negativo sulla crescita economica e deprimono la capacità di fare impresa: essi incidono sulla struttura dei costi delle imprese aumentando gli oneri dovuti alle lungaggini giudiziarie, oltre che per i maggiori esborsi di natura legale; influiscono sull’allocazione e sul costo del credito, dal momento che i tribunali non riescono pienamente a rispettare le tempistiche stabilite per la durata dei processi, facendo venir meno la minaccia dell’applicazione di sanzioni tempestive e incentivando così comportamenti opportunistici da parte di cittadini e imprese (per esempio, i creditori, incerti della tutela del proprio credito, tendono a chiedere tassi di interesse maggiori e a concedere meno credito); riducono la natalità delle imprese e la loro capacità di entrare nel mercato (lo scarso rispetto per i meccanismi formali spinge i nuovi entranti a rivolgersi a canali informali, si crea di fatto una barriera all’ingresso che avvantaggia l’incumbent e diminuisce la probabilità di avere mercati competitivi); negativo pure l’effetto sulla dimensione delle imprese (diversi studi dimostrano che sistemi giudiziari efficienti sono associati a sistemi economici con imprese di maggiori dimensioni); da ultimo, la lentezza scoraggia gli investimenti esteri e domestici poiché la mancata certezza del diritto ne diminuisce il valore atteso e l’economicità.

 

La giustizia lenta non paga

Nell’agosto 2011 Mario Draghi, all’epoca governatore di Bankitalia, dichiarò che i costi associati alla giustizia inefficiente rappresentano oltre un punto percentuale del pil (pari a 22 miliardi di euro, l’1,3 percento della ricchezza nazionale). Secondo Confartigianato, la lentezza costerebbe alle circa 580 mila piccole imprese italiane (fino a venti addetti) oltre un miliardo. Per non parlare dei costi non monetizzabili: mancati investimenti, sfiducia dei giovani nel futuro, fuga di capitale umano, diffusione della criminalità organizzata e burocrazia sempre più invasiva e opprimente (per paradosso, procedure sempre più farraginose, tese a scoraggiare i fenomeni corruttivi, li alimentano). Nell’ultimo decennio, gli investimenti diretti esteri in Italia sono stati in media un terzo rispetto a quelli dei principali competitor europei in percentuale sul pil, e secondo il Fmi la principale causa della scarsa attrattività nazionale risiede nell’inefficienza giudiziaria. Negli ultimi anni si sono compiuti passi avanti, lo studio Ambrosetti li riconosce ma rileva, altresì, che “in un contesto di miglioramento continuo, la velocità di questo miglioramento è diminuita”. Anche nel 2018 l’Italia si conferma il terzo paese europeo per budget destinato alla giustizia, il secondo se non si considera il Regno unito, ed è tra i primi dieci per spesa pro-capite destinata alla giustizia. A fronte di ciò, il nostro paese indossa la maglia nera del primo in Europa per numero di cause pendenti. Rispetto al picco dei 5,7 milioni di procedimenti civili pendenti nel 2009, alla fine dello scorso anno l’arretrato è calato a poco più di 3,6 milioni. Considerando il clearance rate e il disposition time, i due principali indicatori della performance giudiziaria, emerge che a livello europeo il primo si attesta, in media, al 103 per cento: per ogni causa risolta ve n’è poco meno di una che se ne apre; l’Italia, con un clearance rate del 113 per cento, è il quarto paese in Europa dopo Slovacchia, Finlandia e Croazia. Il secondo indicatore, che misura il tempo medio di risoluzione di una controversia, scende dai 530 giorni dell’anno precedente ai 514 del 2016, ultimo dato disponibile. Un calo del 3 per cento che non fa tirare un sospiro di sollievo: l’Italia resta il secondo peggior paese per durata dei processi, due volte superiore alla media europea pari a 255 giorni. Alla lunghezza eccessiva che nel 2017, per via degli indennizzi previsti dalla legge Pinto, ha fatto accumulare un debito di 336 milioni a carico dello stato, si unisce l’elevata variabilità nelle performance dei tribunali: alcuni si allineano ai paesi benchmark europei, altri sono poco performanti. Non mancano i suggerimenti di policy per rimediare ai guasti attuali. Purché si smetta di parlare soltanto di corruzione, beninteso.

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