Mattarella costretto a ricordare l'ovvio
I giudici non sono i nostri migliori amici, ma servono allo stato di diritto
Il presidente della Repubblica, nel corso di una commemorazione di Oscar Luigi Scalfaro, ha ricordato alcuni princìpi basilari dello stato di diritto. I cittadini sono eguali davanti alla legge, i magistrati traggono il loro potere giurisdizionale dalla Costituzione, un potere elettivo non può essere al di sopra e al di fuori della legge. Si tratta di concetti che dovrebbero essere ovvi e la loro ripetizione quasi superflua. Invece, come hanno sottolineato quasi tutti gli osservatori, le parole pur misuratissime di Sergio Mattarella assumono il significato evidente di una critica e di un ammonimento nei confronti di Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio e titolare del più delicato dei ministeri, quello dell’Interno, dal quale dipendono gli organismi preposti alla garanzia dell’ordine civile e democratico, dalle prefetture alle forze di pubblica sicurezza.
Nessuno più di noi è attento a ogni indebita invasione del campo politico da parte della magistratura – un fenomeno che ha caratterizzato negativamente una lunga fase della vita nazionale e che non è affatto cessato. Però, mentre è lecito, anche nel caso dell’inchiesta sull’uso improprio dei finanziamenti elettorali ricevuti dalla Lega, avere opinioni diverse sulla linearità delle scelte della magistratura, non si può negare la legittimità di un’inchiesta sulla base della popolarità degli inquisiti. Ci si deve difendere nei processi e, in qualche caso, anche dai processi, ma nel rispetto delle funzioni che la Costituzione assegna a ciascuno. Il fatto che sia stato necessario ribadirlo segnala una situazione di degenerazione del dibattito che si fatica a chiamare politico, e che ha raggiunto un livello davvero preoccupante.
L'editoriale del direttore