Lo stato della giustizia

L’ordinamento giudiziario italiano merita la promozione, ma le sue storture vanno corrette in fretta. Parla Sabino Cassese

Professor Sabino Cassese, luglio 2018: si sono svolte le elezioni per il Consiglio superiore della magistratura. Una occasione per ritornare sul tema della giustizia. Perché l’ordine giudiziario è al centro della vita nazionale, e pure è tanto criticato?

Comincio con una precisazione. Non si sono svolte solo le elezioni dei componenti del Consiglio superiore della magistratura. Ma, con il nuovo governo, c’è stato un cambio della guardia al ministero della Giustizia: sono stati nominati un nuovo capo di gabinetto, due suoi vice, un nuovo capo dell’ufficio legislativo, due capi di dipartimento, un vice, il capo dell’ispettorato. Questo richiama l’attenzione su due fenomeni che ritengo storture. Uno è lo spoils system all’italiana, che coinvolge anche magistrati incaricati di uffici amministrativi. L’altro è il ricorso a componenti dell’ordine giudiziario per ricoprire posti amministrativi.

 

Sul primo si è espresso criticamente fin dall’inizio, negli anni 90 del secolo scorso. Perché è una stortura il secondo?

Per due motivi. Perché è difficile coniugare l’indipendenza dell’ordine e dei suoi componenti con la sottoposizione di magistrati all’indirizzo e al controllo del corpo politico. E perché l’“occupazione” del ministero da parte dei magistrati fu giustificata, in epoca giolittiana, con la necessità di assicurare l’indipendenza della magistratura. Costituito il Consiglio superiore della magistratura nel secondo Dopoguerra, l’organo di garanzia dell’indipendenza è quest’ultimo, e quindi è cessata la funzione di quella “occupazione”. Insomma, compiti amministrativi andrebbero lasciati ad amministratori, consentendo ai magistrati di svolgere le funzioni che sono loro proprie.

 

E come svolge le sue funzioni il Consiglio superiore?

La ragione della sua istituzione fu quella di creare uno “scudo”, perché l’esecutivo, attraverso la gestione della carriera dei magistrati, non ne influenzasse l’attività. Il Consiglio, poi, ha dato una interpretazione estensiva a questo compito, affermando che esso è organo di “autogoverno”. Espressione che può avere due soli significati. O che è una specie di super giudice. O che la magistratura è un corpo separato dallo stato. Ambedue significati errati. Si aggiunga lo strapotere delle correnti, che sono solo federazioni di potentati. Insomma, i magistrati, per evitare la padella dell’esecutivo, sono caduti nella brace del proprio stesso corpo.

 

Il Consiglio superiore ha avuto le sue dosi di critiche. E il corpo dell’ordine giudiziario?

Svolge un ruolo fondamentale. Le faccio solo un esempio, forse poco sotto l’occhio di tutti. In Italia avevamo una tradizione di manipolazione delle elezioni da parte dell’esecutivo (ricordi i prefetti giolittiani). L’aver affidato il controllo delle operazioni elettorali all’ordine giudiziario è un importante passo avanti.

  

Insomma, l’ordine giudiziario è promosso a pieni voti?

Non mi piace promuovere o bocciare, né sono io la persona titolata a farlo. Posso svolgere qualche riflessione su pro e contra. Penso che possiamo valutare positivamente il grado di indipendenza complessivamente assicurato dalla magistratura italiana. E’ un bene collettivo di prim’ordine, visto quel che succede in Polonia, Ungheria, Turchia e in altre democrazie illiberali. Dobbiamo valutare positivamente anche l’attenzione con la quale i corpi giudicanti e le procure seguono lo svolgersi dei fenomeni sociali, la loro reattività, l’assenza di conservatorismo. Sull’altro piatto della bilancia vi sono i tempi della giustizia: è grave che il corpo stesso non reagisca, non trovi rimedi, non faccia proposte, non aumenti la produttività, non modifichi le catene di lavoro, non si organizzi. Insomma, non mi colpisce solo la lentezza dei processi e delle procedure, ma anche l’atteggiamento passivo rispetto a essa. A questo si aggiungono i danni prodotti da ritardi dovuti a indagini che durano anni, iniziative che non si concludono, tenendo persone dei più vari generi sotto una spada di Damocle. Un potere che non viene esercitato sollecitamente, che non si conclude in tempi definiti, dovrebbe prescriversi: si consuma con l’esercizio o con il mancato esercizio. Possibile che anche per la più minuta procedura amministrativa vi siano, fin dal 1990, tempi predeterminati, mentre per i tempi della giustizia vi è piena discrezionalità e inconoscibilità ex ante dei tempi?

 

Ha detto dei tempi. Che pensa dell’impatto della giustizia sulla vita sociale, in particolare sulle grandi decisioni collettive?

L’ordine giudiziario ha un carattere pervasivo (ed è bene che sia così), è onnipresente (ed è un bene), ma proprio questa sua pervasività e onnipresenza dovrebbero consigliare attenzione all’influenza più generale dell’azione giudiziaria. Se si tutela l’ambiente a Taranto, gli ulivi nel Salento, la sanità nel Molise, ci si deve anche dare carico delle implicazioni occupazionali, produttive, sociali, almeno sotto il profilo del rispetto dei tempi. Un potere condizionante esterno, se non vuole farsi rifiutare, deve evitare di essere arbitrario, ciò che comporta sempre un bilanciamento degli interessi, interventi proporzionati, rispetto dei tempi. Le faccio un esempio: le indagini giudiziarie vengono compiute quasi sempre mediante intercettazioni di più tipi. Ci sono metodi di indagine meno intrusivi? Procedure che permettano di accertare fatti penalmente rilevanti con maggiore rispetto della dignità delle persone, che è un bene garantito dalla Costituzione?

 

E la trasparenza?

Questa è massima nel processo. C’è in misura limitata fuori del processo. Ricordi Jeremy Bentham: Publicity is the very soul of justice…; it keeps the judge himself, while trying, under trial. Anche qui c’è una asimmetria con le procedure amministrative, dove sono state introdotte tutte le regole del Freedom of Information Act. Maggiore trasparenza dovrebbe evitare a qualche magistrato di affermare che una sentenza è fondata su “ragioni logico-fattuali che conducono a non dubitare di un fatto”.

  

Torniamo alla magistratura-corporazione.

In questi anni tutto lo stato ha fatto una cura dimagrante: blocco di assunzioni, stipendi bloccati, pensioni ridotte. Con l’eccezione dei magistrati. Si potrebbe dire che sono stati gli unici indenni dalla crisi. Continuano, però, pratiche che non ritengo apprezzabili. Carriere politiche costruite sulla notorietà acquisita nell’esercizio del proprio dovere come magistrati. Abuso di scorte (è proprio necessario che noti magistrati vadano in giro, presenziando a manifestazioni culturali e mondane, se corrono pericolo di vita? Non potrebbero stare nei loro uffici e o a casa loro, invece di imporre “corvée” alle scorte e costi ingenti alla collettività?).

  

Un giudizio complessivamente positivo, ma con una grave riserva e molte critiche parziali, più alle singole persone che al corpo nel complesso.

Sì, con l’auspicio che si ponga rimedio, per evitare che montino le critiche come quelle francesi all’“Etat de justice” o quelle analoghe tedesche (penso al volume, recentemente tradotto in italiano, di un importante civilista, Bernd Rüthers, La rivoluzione clandestina dallo Stato di diritto allo Stato dei giudici, Modena, Mucchi, 2018, a cura di Giuliana Stella).

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