Foto tratta da Wikipedia

Girodiruota – GiroDiVino

Un brindisi calmante

Giovanni Battistuzzi

A San Giovanni al Natisone durante la prima guerra mondiale, El Pucia Carlo Oriani corse (probabilmente) la sua ultima corsa davanti a Marinetti. Una storia di biciclette, vino e polverine

La sedicesima tappa del Giro d'Italia 2020 doveva partire da Udine e arrivare a San Daniele del Friuli. La sedicesima tappa di GiroDiVino (qui trovate tutte le altre puntate) è da leggere bevendo una bottiglia di Ribolla Gialla della cantina Schiopetto, Capriva del Friuli (GO).

  


 

L’Isonzo era distante poche decine di chilometri, ma in quei giorni di cannonate non se ne sentivano e i fucili tacevano più del solito. Qualche colpo, ma più per scena che per reale necessità. E non c’è peggio della quiete per far crescere paure, ché quando tutto è tranquillo la mente inizia a girare e a volte prende strade che è meglio non prenda. Gli ufficiali sapevano benissimo tutto ciò, per questo decisero che era il momento di regalare ai soldati qualcosa di diverso. Il caporalmaggiore de Alberighi in due giorni fece costruire fuori da San Giovanni al Natisone una sorta di velodromo, richiamò dalla prima linea un suo combattente che dicevano fosse un prode corridore e gli affidò l’incarico di trovare una dozzina di valenti atleti per imbastire una riunione su pista. Iacopo Bonutti, prima di imbracciare il fucile era stato una promessa del ciclismo. Nel 1914, al primo anno di dilettante, aveva vinto parecchie gare tra Friuli, era originario di Monfalcone, Veneto e Lombardia. Era un ragazzone simpatico, di buoni modi, e in poche ore raccattò tra ciò che rimaneva del battaglione bersaglieri ciclisti il meglio che il regio esercito aveva da offrire. Tra loro c’era pure Carlo Oriani che nel 1913 aveva vinto il Giro d’Italia.

 

Oriani era El Pucia e con la divisa addosso faceva il portaordini. In guerra aveva mantenuto la gamba e per tutti gli altri sarebbe stata impresa quasi impossibile batterlo. Poco male, pensarono tutti, che già essere su di una bicicletta senza dover schivare pallottole in prima linea era già una fortuna. Certo c’era Filippo Tommaso Marinetti nella tribunetta e si diceva che sarebbe arrivato pure il Vate, Gabriele D’Annunzio, convalescente a Venezia, ma pronto a imbracciare di nuovo le armi, e vincere sarebbe stata una gran cosa. Ma col Pucia le possibilità stavano a zero.

 

Un po’ di rassegnazione iniziò a serpeggiare tra i corridori. Rassegnazione che però non sfiorò neppure i fratelli Polan, che di quelle zone erano figli e che in quelle zone avevano sempre fatto il bello e il cattivo tempo. Egidio, il più vecchio, da Cividale era partito per Milano e prima al Trotter e poi al ciclodromo di Via Argelati s’era fatto un nome. Angelo, il più giovane, a Cividale era rimasto e sulla bicicletta aveva iniziato ad andare talmente forte che l’avevano chiamato “Turbine”.

 


Carlo Oriani in divisa da bersagliere ciclista (foto tratta da Wikipedia)


 

I fratelli Polan erano forti, baldi, soprattutto scaltri. Quando videro El Pucia pedalare capirono immediatamente che le gambe non sarebbero bastate per batterlo. Toccava ingegnarsi in qualche modo. Fu Angelo a proporre al fratello di fare come facevano da piccoli con il padre quando li obbligava a stare nei campi e come poi avevano continuato a fare nelle prime gare. Egidio trovò la proposta intelligente. Si procurarono un fiasco di rosso, versarono due bicchieri per loro, che il vino piaceva a entrambi e molto, e ci versarono dentro un po’ della polverina magica che gli permetteva di dormire qualche ora anche in mezzo alle pallottole. Non molta, il giusto per infiacchire le gambe, che se nessuno era in grado di correre, con tutti i soldati che erano stati portati a bordo pista, rischiavano o il linciaggio o la corte marziale. Brindarono con tutti i corridori al ciclismo, alla bicicletta e all’Italia. Poi scesero in pista.

 

Furono bravi con le dosi e pure sui pedali. Angelo Polan quella riunione la vinse, battendo in finale nella velocità un Pucia che nonostante tutto se l’era cavata egregiamente.

 

A vedere “quel fuorioso fluire di ruote che incarnano la perfezione di un futuro vibrante” c’era davvero Filippo Tommaso Marinetti. Il Vate invece non si presentò.  

 


 

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