Foto per gentile concessione di Lillo La Rosa (come tutte le altre utilizzate in questo articolo)

Piccoli squali crescono pedalando per la Sicilia. Il ciclismo del Team Nibali

Giovanni Battistuzzi

Le biciclette come messaggio sociale, la volontà di migliorare la sicurezza sulle strade, i piani per un futuro a pedali, l'impegno di Vincenzo Nibali e sua moglie Rachele. Parla Lillo La Rosa

In principio furono ventiquattro chili, nove tubi saldati tra loro e due ruote in gomma piena che scesero a Palermo da una nave partita da Marsiglia. Era il crepuscolo dell’Ottocento e su quella bici, raccontò lo scrittore Giuseppe Pitrè, “un oscuro omo con un paltò nero discese dalla cattedrale diretto verso il mare. Lì prese a muoversi ondeggiante mentre occhianti e sorpresi altri omini lo videro scomparir pel viale che se ne fuggiva verso il suo destino”. Chi fosse quell’omo nessuno lo sa e nemmeno fosse diretto. Quello che si sa è che un altro “oscuro omo con un paltò nero” venne visto dallo stesso Pitrè qualche settimana dopo a Messina, “poggiato su una balaustra a rimirar lo mare”.

 

Quel mare è lo stesso mare che brilla ancora di blu e azzurro e si riflette sulle lenti degli occhiali di ragazzi che sognano di oltrepassare quella distesa d’acqua che circonda la Sicilia. Per mordere il mondo allo stesso modo dello squalo che hanno disegnato sul retro delle loro magliette. Uno squalo che è una scritta, che è un nome (o meglio cognome), che è una volontà: Nibali. “Il Team Nibali è pronto per il 2020. Pronto per il calendario italiano e per fare bene pure all’estero: correremo in Spagna, Portogallo, Francia e Slovenia”, dice al Foglio Lillo La Rosa che nella squadra voluta da Vincenzo e sua moglie Rachele ha messo e continua a metterci tutto sé stesso. Perché “la volontà è sempre la stessa: non essere soltanto una squadra di ciclismo, ma provare a insegnare ai ragazzi come iniziare a muoversi nel mondo, nella vita. Rachele ha un senso sociale della bicicletta, sa che il ciclismo può essere più di uno sport: un modo per dare un senso a ciò che si muove attorno”.

 

Ed è un movimento continuo la Sicilia. Di gambe che roteano sui pedali, di ruote che scorrono sulle strade, di ombre che si stagliano sull’asfalto, sotto un sole gentile che sembra quasi fatto per accogliere le biciclette quando in altre zone il clima prova a respingerle. L’isola che aveva visto partire prima i treni e poi gli aerei con a bordo la sua miglior gioventù pronta a conquistarsi un pezzo nord da pedalare, vede ora ritornare pullman di bici e polpacci e polmoni pronti a svernare e prepararsi per fughe, montagne e vittorie. “Le squadre professionistiche sono ritornate qui per iniziare a preparare la stagione. Sulle pendici dell’Etna sempre più corridori si allenano, fanno periodi in altura. La Sicilia sta ritornando a essere un luogo ricercato dal ciclismo”, dice Lillo La Rosa.

  

Così la Sicilia lasciata da Guido Messina, da Giuseppe Di Grande, da Biagio Conte e poi più recentemente da Giovanni Visconti, Damiano Caruso e Vincenzo Nibali sta diventando il luogo nel quale piccoli squaletti possono crescere in sella a una bicicletta. È dal 2015 che il campione di Messina ha deciso di impegnarsi per un’isola a pedali. Rachele Perinelli, la moglie di Vincenzo, è da allora che segue passo dopo passo la squadra, “cercando di rendere il team un promotore di idee tese a migliorare la condizione dei ciclisti isolani”, sottolinea La Rosa. Perché non ci sono solo i cinque allievi (15/16 anni) e gli otto junior (17/18) – ai quali si aggiungeranno anche altri quattro junior in Veneto del Team Brilla –, non ci sono solo le vittorie e i piazzamenti o gli obbiettivi sportivi (“eguagliare i successi dell’anno scorso, dodici e quattro titoli regionali su pista”). C’è soprattutto l’idea di rendere la Sicilia un luogo ciclabile. “Perché non è vero che se le strade non sono sicure oggi non potranno diventarlo in futuro. Serve lavoro, serve perseveranza, serve soprattutto riportare le biciclette in strada, far appassionare i ragazzi al ciclismo”, sottolinea La Rosa. Serve un’evoluzione culturale che riesca a far capire alla politica “che una riqualificazione dell’asse viaria regionale garantirebbe un miglioramento generale dell’attrattività di tutta la regione. È su una direzione di sviluppo sostenibile, turistico, sportivo e green che la Sicilia potrebbe crescere, migliorare, diventare un modello”.

 


Lillo La Rosa con i “suoi ragazzi”


 

Quello che sembrava inevitabile fino a pochi anni fa, ossia l’abbandono delle strade da parte delle biciclette, sta subendo un’insperata ma sensibile inversione di tendenza. In Sicilia è aumentato il numero di ciclisti e di cicloturisti. A dirlo, in mancanza di numeri ufficiali, sono l’aumento dei negozi specializzati (più 19 per cento rispetto a cinque anni fa) e delle strutture ricettive che offrono un minimo di assistenza per chi viaggia in bicicletta (più 14,5 per cento dal 2017). La presenza di tre corridori di primo piano – Visconti, Caruso e Nibali –, il ritorno di una corsa a tappe, il Giro di Sicilia, oltre al passaggio del Giro d’Italia (nel 2011, 2017, 2018 e nel 2020), hanno certo favorito una ripresa dell’interesse attorno al mondo della bicicletta. “Ora però serve che allo sport si affianchi anche una presa di coscienza da parte di tutti i siciliani per non gettare al vento l’opportunità di un cambiamento che porterebbe solo benefici alla Sicilia”, dice Lillo La Rosa.

 

Nonostante i miglioramenti della situazione generale la strada da percorrere è ancora molta lunga. “C’è ancora una distanza enorme rispetto ad altre realtà all’estero. L’anno scorso avevo portato i ragazzi alla Vuelta dei Paesi Baschi junior e mi trovavo in ammiraglia dietro a loro per una uscita di allenamento alla vigilia del via. Correvamo su di una strada ampia – sottolinea –, dove sarebbe stato facile superare le biciclette, eppure dietro a me c’erano diverse auto in fila, nessuno aveva osato neppure suonare il clacson. Aspettavano solo un mio cenno per superare i ragazzi. È questo il genere di cultura civica e stradale a cui dovremmo puntare. Chi guida dovrebbe pensare che in sella a una bicicletta non ci sono ciclisti, ma uomini e donne, gente che ha sogni e speranze. In sella ci sono ragazzi che potrebbero essere loro figli”. 

 

È in questo orizzonte che si muove il Team Nibali. Prima delle vittorie, dei piazzamenti, delle strategie ciclistiche, di fughe, volate e traguardi parziali c’è infatti la volontà di creare una cultura del muoversi nelle strade, di insegnare il rispetto delle regole, dell’attenzione verso i soggetti più deboli che si muovono nella rete viaria: pedoni e ciclisti. È attorno a questi concetti che la squadra guidata da Rachele Perinelli si è sempre mossa. Una missione divenuta ancor più centrale dopo la morte di Rosario Costa, il quattordicenne che nel 2016 venne investito mentre stava percorrendo la litoranea nord all'altezza del villaggio di Sant'Agata. “Non aveva nemmeno quindici anni, aveva una vita davanti”, ricorda Lillo La Rosa. È anche per lui che il Team Nibali non è solo una squadra ciclistica, ma è diventato un attore protagonista nel tentare di costruire un futuro a questo sport: “Il ciclismo non si pratica in luoghi separati dalla quotidianità. I ciclisti per allenarsi usano le strade di tutti i giorni. Se vogliamo che questo sport non scompaia dobbiamo rendere le nostre strade pedalabili”, conclude Lillo La Rosa. 

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