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L'Europa alle prese con i Paesi Bassi, tutti da rifare

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Mark Rutte lascia la politica olandese e con lui anche i nomi più noti di leader di partito e ministri. Il ricambio, tra rischi e opportunità

In un attimo è cambiato tutto nei Paesi Bassi, una settimana di discussione sui ricongiungimenti familiari dei migranti, un compromesso possibile ma infine non raggiunto in una coalizione litigiosa al potere, e il premier Mark Rutte s’è dimesso. Prima dal governo poi da tutto: il più longevo primo ministro dei Paesi Bassi, tredici anni scanditi dal sorriso, dalla bicicletta, dalla sobrietà e dal pragmatismo che gli hanno regalato il soprannome di “Mr Normal”, ora vuole fare – dice – l’insegnante. O meglio, lo farà quando sarà in carica il prossimo governo e pure se le elezioni sono previste per novembre poi ci sarà la fase delle negoziazioni, che potrebbero durare a lungo – l’ultima volta ci vollero 271 giorni. Quindi di questo “premier gioioso”, come lo ha definito l’Economist, sentiremo ancora parlare, ma le sue dimissioni hanno avuto un effetto domino impressionante: “Non mi ricordo un can can simile”, ci ha detto  Donatello Piras, presentatore e commentatore politico italo-olandese per la BNR Nieuwsradio. Molti leader di partito, che erano anche ministri, hanno deciso di lasciare la politica, per ragioni diverse e che non sono state condizionate da Rutte, ma in un attimo, appunto, è cambiato tutto. L’esodo comprende la leader dei D66, i liberali di sinistra, Sigrid Kaag, e il leader cristiano-democratico della Cda, Wopke Hoekstra, che ora è ministro degli Esteri ma che nei ricordi europei è soprattutto il frugalissimo titolare delle Finanze che ha fatto ammattire soprattutto noi, gli spendaccioni del sud. Questo vuol dire che si affaccia una nuova generazione di leader, cosa che non sembra spaventare gli olandesi che “al 70 per cento – dice Piras – sono contenti che sia finita questa stagione, ma che sono consapevoli del fatto che ci sarà un vuoto di esperienza”. Un ricambio così, improvviso e complessivo, è un rischio o un’opportunità? Sarà il preambolo a un’avanzata sovranista? Siamo andate alla ricerca di una risposta, provando a capire che cosa lascia Rutte ai Paesi Bassi e quanto è pronta la sua successione.


Il futuro del Vvd. Tolto Rutte, rimane comunque il suo partito, il Vvd, il Partito popolare per la libertà e la democrazia, una formazione antica, che per quanto sia ormai legata al nome del premier, è stata fondata nel 1948 e da allora è stata ristrutturata parecchie volte, rimodellata da congiunture storiche e politiche di varie rilevanza e durezza. Anche l’ultimo Vvd, quello legato a Rutte,  ha subìto diversi mutamenti, determinati  dalle coalizioni multiformi che il premier ha formato nei suoi cinque mandati. E adesso che il premier non intende più far politica, anche il suo partito dovrà trovare una nuova strada che sarà indicata da colei o colui che prenderà le redini del Vvd.  Gli olandesi non sono spaventati da questa novità inaspettata, anche se chi verrà non avrà addosso il soprannome di Teflon, che gli è stato dato per la sua resistenza a tutto, fino a quando ha voluto. Rutte ne ha passate molte, ma  ha definito il “momento più duro dei miei quattro governi” l’abbattimento del volo Mh17 della Malaysia Airlines colpito da un missile russo nel 2014 mentre sorvolava l’Ucraina: proveniva da Amsterdam e tra passeggeri ed equipaggio non ci furono sopravvissuti.  Rutte però non è stato un elemento di stabilità soltanto nei Paesi Bassi, anche in Europa è stato determinante. Piras ci ha confermato  che “la sua militanza a Bruxelles ha garantito maggiore stabilità all’Ue e un ruolo di rilievo per gli olandesi”. Allora, c’è qualcuno dentro al Vvd in grado di rilevare questa eredità e ricoprire un ruolo altrettanto responsabile in politica interna ed estera? Per ora circola un solo nome, con pochi contendenti, quello di Dilan Yesilgöz-Zegerius, ministra della Giustizia dell’attuale governo. E’ nata ad Ankara, è figlia di un rifugiato curdo che ottenne l’asilo nel 1980. Dilan arrivò in Europa quattro anni dopo, facendo il viaggio via mare e fermandosi nell’isola greca di Kos prima di ottenere il ricongiungimento con la famiglia. A leggere la storia della ministra, viene quasi da sorridere, se si pensa che l’ultimo governo Rutte è  caduto proprio sull’immigrazione. Il tempo per fare e disfare il totonomi c’è, ma mentre la Vvd sembra già acclimatarsi alla sua nuova figura di riferimento, gli altri partiti rimasti senza leader sembrano più disorientati.  


Il futuro del Cda. L’acronimo Cda sta per Appello cristiano democratico, ed è nato come raccoglitore di tutti i partiti di ispirazione cristiano-democratica del paese, che erano tre. Dal 2020, il Cda era guidato dall’intransigente ex ministro delle Finanze Wopke Hoekstra, che tra le sue capacità annovera quella di saper essere particolarmente sgradito agli spendaccioni del sud, come quando suggerì di aprire un’indagine sui paesi che sostenevano di non avere margini per rispondere alla crisi economica durante la pandemia. Qualcuno definì quelle affermazioni addirittura “ripugnanti”. Poi tutto è cambiato, forse non l’intransigenza di Hoekstra che nel 2022 è diventato ministro degli Esteri, ma sicuramente l’atteggiamento di Rutte nei confronti della possibilità di riformare le regole europee. Identificare il successore di Hoekstra, la cui presenza non passava mai inosservata con il suo metro e 93 centimetri di altezza, non è così semplice anche perché il Cda è in crisi e serve qualcuno in grado di risollevarlo. I nomi che circolano sono  quattro. Henri Bontenbal, membro della Camera dei rappresentanti olandese, esperto di clima che nel 2019 disse che il Cda avrebbe dovuto smetterla di presentarsi come un partito attento soltanto alle campagne, si sarebbe dovuto aprire all’intera società e si sarebbe dovuto dimostrare più sensibile alle questioni climatiche. Nello stesso anno  nacque il Bbb, il Movimento dei contadini-cittadini e iniziò a rosicchiare il consenso del Cda. L’altro nome che circola per la successione è quello di Derk Boswijk, che provò a scalare il Monte Bianco nel 2016 per raccogliere fondi per un’organizzazione che finanzia la ricerca sulla perdita dell’udito – non arrivò in vetta ma raccolse 8.000 euro. Anche lui è membro della Camera dei rappresentanti e contestatore dei magri risultati del Cda. Gli altri nomi possibili  sono l’eurodeputato Jeroen Lenaers e Vivianne Heijnen, segretario di stato per le Infrastrutture e la gestione delle acque, grande nemica della plastica e amica del ciclismo. A voler tracciare una linea che accomuna i quattro possibili successori si trova una costante: l’ecologia. Sembra che il Cda voglia diventare l’anti Bbb. 


Le minacce. Sigrid Kaag, vicepremier e ministro delle Finanze, ha lasciato la guida dei D66 per motivi personali che hanno a che fare con la volontà di ridare un po’ di calma e sicurezza alla sua famiglia. Da molto tempo lei, suo marito e i suoi quattro figli ricevono minacce: il simbolo di questi avvertimenti sono le torce infuocate con cui la Kaag è stata anche accolta, si fa per dire, a un incontro pubblico. Le sue colpe? Essere un’europeista liberale. La “strega”, così la chiamano, ha 62 anni, ha portato i D66 al secondo posto alle elezioni del marzo del 2021, è figlia di musicisti, è cattolica, ha studiato l’arabo all’Università di Utrecht, ha preso un dottorato all’Università americana del Cairo, ha studiato Relazioni internazionali nelle migliori scuole europee, ha lavorato all’Onu, nel 2017 è tornata a casa, è diventata ministra e poi, grazie a quella vittoria, è stata nominata vice di Rutte. Parla sei lingue, è sposata con un dentista palestinese che aveva lavorato con Arafat, ha quattro figli, non rinuncia mai ai tacchi alti, è progressista, attenta al clima, ai diritti, all’utilizzo serio (frugale) dei soldi pubblici, è europeista e atlantista: una minaccia per il mondo sovranista, no vax, estremista, che ha festeggiato con l’emoticon del fuoco, che richiama le torce, il suo commiato. Per l’immagine multiculturale dei Paesi Bassi, già violentemente ammaccata negli anni, è un colpo duro, ma ancor più lo è per i D66 che forse una stagione così non la vivranno più. Al posto della Kaag si prepara Rob Jetten, ministro del Clima e dell’energia, classe 1987, da sempre attivissimo dentro al partito, omosessuale al quale sono stati affibbiati molti flirt (ora è single) e che in quanto a minacce, pure lui, non scherza. Nel 2020, per la giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, lesse in pubblico molti messaggi che gli arrivano sui social, spesso da account creati soltanto per colpire lui. Jetten s’è fatto una certa esperienza nelle battaglie culturali, ma è il suo incarico odierno a essere particolarmente sensibile. Occupandosi di questioni che hanno a che fare con l’ambiente è nel cuore dello scontro più aspro che si sta consumando e si consumerà nei Paesi Bassi: quello sui costi della transizione ecologica, e su chi li deve sostenere. Se avete visto le proteste dei trattori, sapete di che si tratta. 


L’alleanza a sinistra. In questi giorni il partito laburista, il Pvda, che è stato al governo assieme a Rutte dal 2012 al 2017 ma che poi è semi collassato nei consensi, ha fatto un patto elettorale con i GroenLinks, i Verdi olandesi: gli iscritti a entrambi i partiti si sono espressi a favore dell’unione con percentuali molto alte. Bisogna decidere chi sarà il leader, ma come ci ha detto Piras, “è presto”: non ci sarà una votazione della base, ma una nomina e tra i nomi che circolano c’è quello di Marjolein Moorman, assessore all’Istruzione e alla Gioventù del comune di Amsterdam, non molto conosciuta, e quello ben più noto e “pesante” di Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea e paladino delle questioni ambientaliste. Il bottino elettorale che possono raccogliere al momento non è alto: la sinistra ha poche idee innovative, e il collante delle due forze, la questione ecologica appunto, è come detto uno dei temi che stanno alimentando movimenti antisistema – i trattori, appunto. 


Occhio a destra /1. I temi su cui potrebbe giocarsi la prossima campagna elettorale nei Paesi Bassi sono proprio quelli che rischiano di mettere in imbarazzo l’Ue. Il primo è il Green deal, appunto. Il secondo è quello sui migranti, su cui il governo è caduto. La lotta contro questi due temi è tra i  cavalli di battaglia dei partiti di estrema destra. Il peso del Green deal si è già fatto sentire durante le elezioni provinciali di marzo in cui il Bbb, il Movimento dei contadini-cittadini, si è  assicurato 17 seggi al Senato, diventando il partito più votato e pescando voti sia dal Vvd sia dal Cda. La sua leader e fondatrice, Caroline van der Plas, è proprio un’ex cristiano-democratica, uscita dal partito nel 2019 durante la conversione ecologista della Cda. A innescare questa fuga di elettori è stata una serie di misure radicali per tagliare le emissioni, accompagnate da ingenti risorse finanziarie per aiutare i cittadini più in difficoltà nella transizione ecologica per un totale di 25 miliardi di euro: una cifra enorme per un paese ossessionato dal debito. Chi non cambia vita, attività, o approccio all’agricoltura e all’allevamento, può andare incontro all’espropriazione da parte del governo. Questo piano ha generato proteste molto estese e soprattutto una resa dei conti nelle urne che ha mostrato a tutta l’Europa quali potrebbero essere i problemi politici legati al Green deal e ai Paesi Bassi chi potrebbe coprire il vuoto politico lasciato da Rutte e gli altri. 

 

Occhio a destra /2. Anche Geert Wilders è pronto a lanciarsi su quel vuoto per accaparrarsene almeno un po’. Il leader del Partito per la libertà, il Pvv, è stato dato spesso per finito, soppiantato da qualche altro turbolento movimento populista, ma è rimasto sempre lì, a osservare la politica olandese e aspettare il suo momento, distanziando  per esempio il rumoroso Forum per la democrazia che sembrava  pronto a rubargli gli elettori. Wilders si è complimentato con Rutte per la decisione di ritirarsi e poi ha lasciato intendere di essere pronto ad allearsi con il Vvd e non sarebbe la prima volta: durante il suo primo mandato, Rutte governò con l’appoggio esterno di Wilders. Tra tanti nomi più o meno nuovi, Wilders è quell’elemento di instabile continuità che sa già come trattare con tutti, ma per gli elettori scontenti e pronti a gettarsi nella seconda repubblica della politica olandese, Wilders è qualcosa di già visto, già tentato. Adesso  che il campo è totalmente nuovo, al leader del Pvv si prospettano due strade: giocare a fare il sopravvissuto ora che i contendenti di sempre escono di scena, oppure rilanciarsi con un’immagine tutta diversa, magari da giocarsi anche nella politica europea. 

 

“Se i partiti di centro perdono terreno a vantaggio degli estremisti – conclude Piras – può essere molto pericoloso anche per la continuità della politica europea: con Rutte si sapeva cosa aspettarsi dai Paesi Bassi”. Ora questa stabilità rischia di venire meno, gli europei temono una destabilizzazione che può avere effetti molto ampi, al di fuori dei confini olandesi. Ma anche qui ci sono delle opportunità: l’anno prossimo si tengono le elezioni europee, vuol dire che andranno cambiati i vertici delle istituzioni dell’Ue. Chissà se Timmermans tornerà alla politica nazionale e con che esito, ma di certo la storica flessibilità di Mark Rutte – che lui definisce modesto “essere un po’ noiosa” – può rivelarsi parecchio utile a un’Europa che cerca una guida alle sue tante trasformazioni.  

(ha collaborato Francesco Gottardi)

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