Il Putin serpente

Un murales a Kyiv racconta la propaganda russa, che ora punta sul “tradimento” degli alleati ucraini

Micol Flammini

La disinformazia russa si prepara per il terzo anno di guerra: l'operazione "Portal Kombat" nei confronti di Francia, Germania e Polonia

Kyiv, dalla nostra inviata. Vladimir Putin ha una voce sempre sommessa che in Ucraina tutti sanno riconoscere, un volto che compare negli incubi dei più, una prevedibilità su cui in tanti sono disposti a scommettere. Eppure, nonostante il nemico sia così noto e presente, gli ucraini continuano a studiarlo e, se vogliono rappresentarlo, spesso lo raffigurano come un serpente. Per le strade della capitale, nella via Striletska, un Putin-serpente con giacca e cappello stritola il mondo, tra le mani regge una clessidra sovrastata da una televisione. Dentro alla clessidra c’è un uomo, la cui testa sembra deformata dallo schermo e il suo corpo, pezzo dopo pezzo, si trasforma in scimmia. Ci sono altre parti del graffito degne di nota, la storia che racconta è a lieto fine, parla della vittoria sul serpente. Ma quell’uomo che non si è reso conto di aver sprecato il proprio tempo permette alla propaganda di trasformarlo in una scimmia che concentra su di sé tutta l’attenzione. Nello spazio del murale la vicenda continua, l’uomo-scimmia va a fare la guerra, obbedisce alla propaganda del presidente-serpente: come anticipato, il murale è a lieto fine, anche per l’uomo-scimmia c’è futuro e verrà liberato dal suo corpo di primate e dalla propaganda. 

 

Per giustificare l’invasione russa dell’Ucraina, la disinformazione in televisione, sui social, su qualunque testata è stata l’elemento su cui il regime russo ha investito di più e gli ucraini non smettono di tenere sotto controllo la propaganda del Cremlino, perché è una bussola, aiuta a prevenire le intenzioni prevedibili. La disinformazione non è fatta di improvvisazione, usa codici precisi, studiati, campagne preparate con cura, che spesso cambiano a seconda della nazione da seguire. Uno dei funzionari russi su cui più si concentra lo studio della propaganda è la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova che, secondo Matt Wickham dell’Hybrid Warfare Analytical Group, rende la disinformazione un’operazione meticolosa, uno spettacolo studiato in ogni dettaglio. Zakharova, per esempio, usa un linguaggio minuzioso, non parla mai di Ucraina come di uno stato indipendente, ma come di uno stato fantoccio utilizzato dall’occidente spietato. Quando parla, la portavoce del ministero degli Esteri crea tensione, racconta tutto con toni appassionati, il governo ucraino è “il regime di Kyiv”, che viene così chiamato per essere privato di legittimità. L’occidente è sempre “collettivo”, entità informe e approfittatrice e l’intenzione di Zakharova è quella di creare una distanza tra i russi e il resto del mondo: la propaganda russa dice spesso che è l’occidente che vuole isolare i russi, ma è la propaganda che invece insiste per fomentare nei russi un senso di estraneità se non rabbia nei confronti di Kyiv e del resto mondo: è così che si trasformano gli uomini in scimmie. 

 

La disinformazione russa agisce su due livelli. Uno è interno, serve a rendere i russi dei fedeli esecutori delle volontà del Cremlino. L’altro fronte è esterno e secondo l’agenzia francese Viginum, Mosca era pronta a lanciare una campagna globale, un’operazione speciale di guerra ibrida soprannominata “Portal Kombat”. La campagna era diretta soprattutto a Francia, Germania e Polonia ed era legata a due eventi: il secondo anniversario dell’invasione russa e le elezioni europee. Viginum ha scoperto 193 siti, alcuni inattivi, molti dei quali contenevano la parola “pravda”, e tutti controllati da un’unica organizzazione russa di cui non è stato diffuso il nome. L’obiettivo di “Portal Kombat” punta ai tre paesi che, dopo la rielezione di Donald Tusk a Varsavia, stanno lavorando per una collaborazione sempre più profonda e che vuole dare una direzione ben precisa alla politica europea. L’allineamento di Francia, Germania e Polonia per la Russia è una brutta notizia e l’operazione di disinformazione vorrebbe favorire, soprattutto a Parigi e Berlino, una posizione critica nei confronti degli aiuti all’Ucraina, a beneficio di partiti putiniani per tradizione, come l’AfD e il Rassemblement national. In Polonia la situazione è più complessa, il PiS, il partito che aveva fatto dell’opposizione alla Russia la sua bandiera, cerca un suo spazio politico e non per forza lo trova nella solidarietà a Kyiv, ma soprattutto è pronto a utilizzare le proteste degli agricoltori polacchi al confine con l’Ucraina per fini elettorali. Sono giorni che sulla frontiera le proteste impediscono ai camion ucraini di entrare in Polonia, Donald Tusk finora non ha cambiato politiche, nei fatti non è disposto ad abbandonare la linea del protezionismo che i suoi predecessori avevano avviato, ma a parole non cerca di certo di alimentare il risentimento o la stanchezza nei confronti del vicino invaso. 

 

Ogni paese ha il suo punto debole, alcuni, nella logica della disinformazione russa contano più di altri per influenzare le decisioni europee, ma neppure l’Ucraina è libera dalla propaganda e deve sempre fare fronte a un tentativo continuo della Russia di dividere la società, di utilizzare ogni cambiamento nella politica, nelle decisioni militari, per cercare il punto di rottura di un’unità che dura da due anni, nonostante le sfumature. La direttrice di Rt ieri ha iniziato una nuova campagna che punta a diventare martellante: ha detto che a Mariupol sono state trovate tracce di esperimenti condotti da aziende farmaceutiche occidentali come Pfizer, AstraZeneca, Johnson & Johnson e altre, su pazienti psichiatrici dell’ospedale numero 7. Lo stesso è accaduto, racconta Margarita Simonyan, nell’ospedale numero 1 di Streleche e probabilmente nel numero 3 di Kharkiv. Nel momento in cui la massima paura degli ucraini più che degli attacchi è di essere abbandonati dagli occidentali, il timore fa presto a trasformarsi in rabbia e la propaganda ha fatto i suoi calcoli e vuole rendere il processo più veloce: “La causa di Mengele è viva e vegeta”, conclude Simonyan. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.