Il fronte della civiltà

Non si negozia sulla difesa di Israele

Claudio Cerasa

Il diritto di esistere, di resistere e di difendersi. Basta ambiguità. Perché l’attacco di Hamas può cambiare per sempre il rapporto tra Ue e Israele

Difendere il diritto di esistere. Difendere il diritto di resistere. Difendere il diritto di difendersi. Ieri, per l’Europa, è stata una giornata speciale. E si ricordano poche occasioni, come questa, in cui l’Unione europea e i suoi paesi membri hanno mostrato vicinanza al popolo di Israele, aggredito sabato scorso da una serie di attacchi dei gruppi terroristici legati a Hamas. Bandiere ovunque. A Palazzo Chigi, a Roma. Alla porta di Brandeburgo, a Berlino. A Downing Street, a Londra. A Bruxelles, al Parlamento europeo e sulla facciata del Berlaymont, sede della Commissione europea. “E’ terrorismo nella sua forma più spregevole. Israele ha il diritto di difendersi da attacchi così atroci”, ha detto nel fine settimana il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Il governo austriaco, nella giornata di ieri, insieme con quello tedesco, ha fatto di più e ha annunciato la sospensione degli aiuti allo sviluppo alle aree palestinesi (per l’Austria si parla di 19 milioni di euro), ha ammesso che l’attacco contro Israele costringe a rivedere ogni progetto di collaborazione con l’Autorità nazionale palestinese (e con la Striscia di Gaza) e il ministro degli Esteri ha annunciato che convocherà l’ambasciatore iraniano per affrontare le “reazioni ripugnanti” del paese agli attacchi di Hamas del fine settimana (cosa che forse dovrebbero fare tutti i ministri degli Esteri dell’Unione europea, riuniti oggi a Bruxelles per discutere della guerra contro Israele).

 

Il fronte della civiltà, quando in ballo vi è l’esistenza di Israele, sembra tenere, ed è già una buona notizia. Ma quando in ballo vi sarà il diritto di Israele di resistere, difendendosi, il fronte resterà granitico o tornerà a fare quello che solitamente fa quando non ci sono mille morti in Israele da commentare? Tornerà cioè a stigmatizzare Israele nei consessi internazionali? Tornerà a farsi dettare l’agenda dai paesi canaglia alle Nazioni Unite? Tornerà a chiedere una pace generica, mettendo sullo stesso piano chi sogna di spazzare via Israele dalla mappa geografica e chi invece cerca di difendersi da questa prospettiva? Diceva anni fa Marco Pannella che il solo modo che ha l’Europa per evitare di cincischiare quando si parla di Israele, e per dimostrare in modo plastico che difendere  i simboli dell’ebraismo significa difendere i simboli del mondo libero, è trasformare Israele nella vera frontiera d’Europa, allargando cioè fino a Israele i confini dell’Unione europea. Sarebbe, diceva Pannella, un modo per portare una rivoluzione democratica in tutto il medio oriente, per difendere la nostra democrazia, per combattere l’antisemitismo non solo a parole e provare a far detonatore l’estremismo, dimostrando chi la libertà la vuole difendere con i fatti e chi invece solo a chiacchiere. Israele e l’Ucraina, ha detto ieri Volodymyr Zelensky, “lottano contro lo stesso male e l’unica differenza è che c’è un’organizzazione terroristica che ha attaccato Israele e qui c’è uno stato terrorista che ha attaccato l’Ucraina. Fate in modo che tutti coloro che sponsorizzano il terrorismo sentano la potenza della nostra ira. E lasciamo che tutti coloro che hanno bisogno di aiuto per difendersi dal terrorismo sentano la forza della nostra solidarietà: esorto gli stati e i parlamenti a essere ancora più attivi per il bene dell’unità globale”.

 

L’esortazione di Zelensky andrebbe presa sul serio. Ed è un’esortazione di fronte alla quale occorrerebbe rendersi conto di cosa significa quello che è successo in Israele nel fine settimana e quello che significa difendere Israele solo quando si trova sotto attacco. Per rispondere alla seconda domanda, per capire cioè quante volte negli ultimi anni il fronte della civiltà ha lasciato Israele al suo destino, si potrebbero fare molti esempi. Ma ci limitiamo a farne due. Il primo risale a qualche anno fa, quando la Corte di giustizia dell’Unione europea, negli stessi istanti in cui gli israeliani scendevano nei rifugi anti missile per proteggersi dagli assalti di Hamas, stabilì che Israele dovesse divenire il primo e unico stato al mondo i cui beni provenienti da territori contesi sono marchiati con una speciale dicitura (in quell’occasione, il Foglio aprì un comitato di solidarietà anti boicottaggio per promuovere la vendita di prodotti israeliani e invitare ad acquistare ciò che l’Europa voleva invece follemente marchiare). Il secondo risale a qualche settimana fa, quando diversi stati europei, tra cui anche l’Italia, scelsero di votare a favore di una risoluzione adottata dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, su proposta di Cuba, Siria, Corea del nord, Venezuela, con la quale si condannava Israele per aver violato i diritti delle donne, affibbiando a Israele lo stesso status paria di paesi come l’Afghanistan, dove lo stupro è usato come tattica di guerra (all’Onu, pochi giorni fa, il 21 settembre, solo l’ambasciatore israeliano, Gilad Erdan, ha protestato contro il presidente iraniano Ebrahim Raisi parlava all’Assemblea generale, ricordando che “la storia registrerà che il Macellaio di Teheran si è rivolto oggi alle Nazioni Unite e nessuna democrazia ha detto o fatto nulla riguardo al fatto che il suo regime – che picchia, acceca, tortura e violenta le donne manifestanti – sarà presidente del Forum del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite”).


Per rispondere alla prima domanda occorre tornare al discorso di Zelensky e a una frase su tutte: “Se ci fossero vere sanzioni globali per qualsiasi sponsorizzazione del terrorismo, il terrorismo perderebbe. Se il mondo si unisse ogni volta che qualcuno prendesse in ostaggio delle donne e rapisse i bambini di un’altra nazione, il terrorismo non avrebbe alleati”. Difendere Israele significa difendere la nostra libertà. E difendere Israele significa difendere il suo diritto a esistere, a resistere e a difendersi. In attesa di provare a portare Israele in Europa, ci vediamo stasera a Roma, all’Arco di Tito, alle 20. Portate fiaccole. Portate bandiere. Portate idee. Israele siamo noi. E speriamo che l’Europa se lo ricordi anche quando Israele difenderà se stesso contro chi sogna di spazzarlo via dalla mappa geografica.

 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.