il racconto

Guardare Bucha e Irpin per capire l'urgenza di liberare la Crimea

Paola Peduzzi

Tra i ponti rimessi in piedi e quelli lasciati a terra, tra le statue colpite dai missili e i qr code per le donazioni, la ricostruzione ucraina vince, ma non dimentica, la distruzione dell’occupazione russa

Bucha, dalla nostra inviata. La strada delle esecuzioni è stata ripulita da molto tempo ma è fissata nitida nella memoria: a Bucha per la prima volta abbiamo visto quanto è feroce l’occupazione russa. E’ importante ricordarlo oggi perché quando molti parlano di concessioni territoriali alla Russia, quando sottolineano l’intransigenza ucraina e ripetono sciagurati che Kyiv non vuole negoziare, non vuole la pace, non vuole fare concessioni, stanno parlando di questo orrore: vivere sotto il regime russo. Non è una questione esclusivamente geopolitica o di legalità internazionale: è vivere in Ucraina o vivere in Russia, e lo sappiamo che fa tutta la differenza del mondo, soprattutto se sei ucraino. A Irpin il ponte crollato è ancora lì, c’è un signore che pesca, di fianco c’è il nuovo ponte appena ricostruito: non è ancora operativo ma lo sarà presto. L’altro distrutto dai russi resterà lì, simbolo di questa costruzione della memoria in tempo reale che l’Ucraina sta facendo, ricordando e continuando a combattere, tutto nello stesso momento.

 

Sul centro culturale distrutto durante la breve e crudele occupazione dei russi appena dopo l’invasione del 24 febbraio 2022, c’è un grande qr code per la raccolta di fondi: la ricostruzione è un’urgenza – fin da subito gli ucraini hanno voluto ripulire le macerie e seppellire i morti – ma non è sempre una scelta. I soldi vanno trovati, anche per gli spogliatoi del campo di calcio accanto, sventrati, con ancora brandelli delle divise della squadra giovanile che gioca e si allena lì. Anche questo è un aspetto che col tempo si tende a dimenticare: la solidarietà a singhiozzo ha effetti visibili, non tutto vorrebbe essere un museo a cielo aperto del terrorismo russo, qualche ferita si vorrebbe chiudere, ma non vi si riesce. Anche perché queste zone non sono la periferia della capitale come ce la immaginiamo noi: la piazza di Borodyank con la statua di Taras Shevchenko con il buco in testa fatto da un missile russo è molto grande, il condominio con i mobili penzolanti e i jeans appesi come una bandiera è molto grande. 

 

Ed enorme è anche lì il qr code su sfondo nero con cui si può aderire alla campagna per far uscire la Russia dalle Nazioni Unite.  Grande vuol dire: tanta vita, tante vite, e in ogni conversazione, in ogni luogo si inciampa in questa convivenza della vita con la morte, al memoriale costruito sulla fossa comune a Bucha con i nomi e le date di morte – tutte nel marzo 2022 – ma anche in molte altre strade e storie colpite dai russi. Questa convivenza è struggente ed è la battaglia esistenziale dell’Ucraina: tutto precipita quando si pensa all’occupazione russa.

 

Alla Crimea Platform, la direttrice Maria Tomak dice che la situazione nella penisola peggiora sempre più. La Crimea Platform è un’iniziativa della presidenza ucraina, si occupa di organizzare il reintegro della Crimea e la ricostruzione istituzionale della penisola, è vista da molti come il centro dell’intransigenza di Kyiv. Tomak racconta quel che fa la Russia nei territori occupati, le sparizioni, le torture e i processi con sentenze esorbitanti per chi è sospettato di essere filoucraino – e “basta avere lo smalto delle unghie azzurro e giallo” per essere interrogati. Poi c’è la “ripopolazione” con cittadini russi perché la Crimea multiculturale è spaventosa per il Cremlino, è una delle ragioni per cui l’intera Ucraina è stata attaccata e anche se non ci sono dati certi si sa che la persecuzione dei tatari è in corso e che la mobilitazione voluta da Putin nella penisola è stata fatta con percentuali sulla popolazione totale ben più alta rispetto al resto della Federazione russa. L’obiettivo è chiaro: far combattere gli ucraini contro gli ucraini, la mostruosità imperialista che si ripropone. In questa stanza in cui si rincorrono testimonianze tristi e progetti pieni di energia e speranza, il refrain occidentale sui crimeani-tutti-filorussi – Tomak cita anche la recente intervista dell’ex presidente Barack Obama a conferma – suona inaccettabile così come l’idea di facili concessioni territoriali per far finire una guerra che Putin non vuole finire, una condanna a vivere sotto l’occupazione russa.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi