la guerra

Il conflitto congelato non esiste. Cosa s'è imparato dai negoziati con Putin e il calcolo amaro di Kyiv

Paola Peduzzi

Il sabotaggio russo, la vita sotto occupazione e il sacrificio ucraino. Lo sforzo che serve oggi per ribaltare il piagnisteo sulla controffensiva lenta e inconcludente

La Russia ha avviato i processi elettorali farsa nelle zone occupate in Ucraina – Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson – che nemmeno controlla completamente visto che proprio ieri nel sud di Kherson è morto un uomo colpito da missili russi, ma che in ogni caso considera i suoi “nuovi territori”. Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha detto parlando agli studenti dell’Istituto di relazioni internazionali di Mosca che al G20 della settimana prossima in India “non ci sarà una dichiarazione ufficiale in nome di tutti i membri se il documento non rifletterà la nostra posizione”. Il sabotaggio diplomatico da parte del Cremlino è sempre attivo, nonostante le parole di facciata sulla volontà di dialogo di Vladimir Putin, ma quando Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, dice come ha fatto ieri collegandosi al Forum Ambrosetti di Cernobbio che è impossibile pensare “di poter negoziare” con il presidente russo, s’alzano sopraccigli di scetticismi insofferenti che ripetono: ormai è solo Kyiv che vuole fare la guerra, nessun altro. A conferma ci sarebbero le tante voci raccolte dai media americani di fonti anonime dentro all’Amministrazione Biden che sottolineano l’impasse militare e la necessità di un cessate il fuoco negoziato. 

 

Siamo di nuovo qui: congeliamo un conflitto che nessuno può vincere. E’ successo più volte nei 18 mesi di guerra di evocare il congelamento come exit strategy dallo stallo e l’Ucraina sa bene che cosa significa: dal 2014, con gli accordi di Minsk, fino all’invasione del febbraio del 2022, il paese ha vissuto nel conflitto-non-conflitto, che ha causato secondo le stime 14 mila morti tra gli ucraini e uno svilimento delle condizioni di vita degli abitanti delle zone occupate e illegalmente annesse dalla Russia. Non soltanto il congelamento si è di fatto rivelato un alibi forte per i paesi occidentali per distrarsi dalla questione ucraina e anzi riavvicinarsi a Putin, ma è servito a Mosca per riorganizzarsi e ripresentarsi più feroce a prendersi quel che considera suo – il territorio ucraino – e a far fuori quelli che considera traditori, nazisti, scarafaggi – gli ucraini. 

 

Il conflitto congelato non esiste, non oggi, non in queste condizioni. Evocare un negoziato che non ha alcuna concretezza significa convincere l’Ucraina non tanto che deve arrendersi, ma che deve rassegnarsi. L’ex inviato speciale degli Stati Uniti per le negoziazioni ucraine dal 2017 al 2019, l’ambasciatore Kurt Volker, ha fatto un parallelo calzante: il 4 luglio del 1776 gli americani dichiararono l’indipendenza dall’Inghilterra, diciotto mesi dopo il generale George Washington si ritrovò a combattere gli inglesi che avevano occupato Philadelphia e New York. Sappiamo com’è finita, ma nell’inverno del 1777-1778 nessuno lo sapeva, e c’erano molti che pensavano che le risorse dell’impero britannico fossero così straordinariamente superiori a quelle delle 13 colonie inglesi che fosse meglio negoziare piuttosto che essere sconfitti: “Ci volle un enorme sforzo di volontà, perseveranza e chiarezza morale di fronte all’incertezza”, dice Volker. E’ lo sforzo che serve oggi, anche per ribaltare il piagnisteo sulla controffensiva ucraina lenta e inconcludente: senza arrivare a usare le parole del ministro degli Esteri di Kyiv, Dmytro Kuleba, che all’ennesima domanda sul fallimento della controffensiva ha risposto spazientito ai tanti critici di “tacere, venite in Ucraina e provateci voi a liberare ogni centimetro quadrato di terreno”, basta leggere le analisi e i resoconti militari per sapere che una breccia è stata aperta dall’Ucraina nel sud e che le forze russe, pur riorganizzate e più efficaci, non avanzano.

 

Di questi tempi, un anno fa, i soldati ucraini liberavano Kharkiv e Izyum con la spettacolarità di uno sfondamento rapido e visibile e con i russi in fuga, ma nessun esperto ha mai detto o segnalato che questa controffensiva sarebbe stata simile a quella. Anche perché, appunto, è passato un anno: c’è un elemento ulteriore di cui l’Ucraina deve tenere conto che si fa più pressante man mano che il tempo passa. Se il conflitto va avanti, si sacrificheranno più soldati ucraini; se il conflitto si congela, si sacrificheranno i cittadini ucraini intrappolati nelle aree occupate dai russi, in cui come sappiamo – perché lo abbiamo visto molte volte, proprio nelle fosse comuni della Izyum liberata, per esempio – gli emissari del Cremlino governano nel terrore. E’ un calcolo amaro che riguarda soltanto gli ucraini visto che il capitale umano impiegato nella guerra è, questo sì, esclusivamente loro. Questo non vuol dire che non debbano esserci da parte degli alleati discussioni con Kyiv sulla possibilità di un negoziato – ci sono – né che ci debba essere la maggiore flessibilità strategica possibile, ma non vanno considerati soltanto i soldi e le armi che forniamo all’Ucraina. C’è un fattore umano imprescindibile – il sacrificio ucraino – alla base delle regole di ingaggio dell’occidente nella difesa di Kyiv ed è il motivo per cui, a oggi, il conflitto congelato non esiste, è semmai un invito alla rassegnazione, irricevibile. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi