la campanella

Il primo giorno di scuola, in Ucraina e in Russia

L'aula-rifugio e l'istituto-caserma, il Giorno della conoscenza che allontana due generazioni

Micol Flammini

E’ iniziato un nuovo anno scolastico ucraino di guerra: a Kharkiv si va a studiare in metro, a Kyiv si torna in presenza, altrove le classi sono ancora soltanto virtuali. In Russia invece la scuola è diventata una caserma, ma alcuni genitori pensano a come salvare i figli dalla propaganda

Il primo settembre, in Ucraina e in Russia, viene chiamato Giorno della conoscenza, la scuola comincia, ricomincia, i libri si aprono, i buoni propositi si schiudono e ogni anno scolastico che passa aumenta la distanza tra le nuove generazioni di Kyiv e di Mosca. In Ucraina, da quasi due anni, gli studenti si sono abituati a non andare a scuola, a seguirla da lontano, perché è più sicuro. Il 76 per cento delle scuole ha i rifugi, ma non tutti si sentono sicuri ad andarci, a compiere il tragitto da casa a scuola e viceversa. Poi ci sono i rifugiati, i bambini o ragazzi che continuano a seguire le loro lezioni della scuola di Kherson, per esempio, pure abitando a Leopoli o a Varsavia o a Vilnius o addirittura a Roma. Non sanno quando rivedranno la città da cui provengono, ma virtualmente continuano a viverci, a vedere i compagni attraverso lo schermo del computer, a pensare che lì da dove vengono, torneranno. Le scuole nelle aree vicino al fronte sono chiuse perché sono spesso bersaglio dei bombardamenti. Durante il mese di agosto sono stati colpiti gli edifici scolastici nelle regioni di Kherson, Khmelnytskyi – che si trova lontana dal fronte – e anche a Kharkiv. Nell’oblast di Sumy, molto vicina al confine russo, a Romny è stata colpita una scuola e sono morte quattro persone: il preside, il vicepreside, il segretario e il bibliotecario, stavano preparando l’edificio per l’inizio dell’anno. L’Unicef ha raccolto i dati delle iscrizioni scolastiche, e mostrano che  soltanto  un terzo dei bambini in Ucraina va a scuola di persona, un terzo ha scelto di fare tutto da remoto e un terzo segue un modello ibrido. Costruire una normalità di guerra è uno degli sforzi della resistenza ucraina, ma non sempre la normalità deformata dal 24 febbraio del 2022 è applicabile. A Kyiv, dove le lezioni sono quasi tutte in presenza, c’è stato invece un ritorno: l’anno scolastico riapre con il 26 per cento degli iscritti in più rispetto a settembre del 2022. A Kharkiv, a quaranta chilometri dal confine con la Russia, bombardata più volte, costretta a distorcere la sua vita in ogni campo, è spuntata una scuola sotto terra.  Se suona l’allarme antiaereo si corre in metropolitana, rimane uno dei posti più sicuri, e la decisione della scuola è stata quella di costruire sessanta classi proprio tra i sotterranei della metropolitana: sono state inaugurate ieri con il suono di un campanellino. 

 

Il Giorno della conoscenza in Russia si è aperto in modo diverso, non c’erano aule-rifugio da inaugurare, non c’era da contare quanti alunni sarebbero stati in scuole vere o virtuali. L’anno scolastico è iniziato con una lezione di Vladimir Putin. Ha detto che la Russia è invincibile, che la forza di una nazione è data proprio dalla determinazione dei suoi cittadini, ha aggiunto che il sistema di istruzione russo serve a forgiare le nuove generazioni che si troveranno davanti a scelte difficili, complicate. Il premier Michail Mishustin e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov sono andati in giro per gli istituti del paese. Mishustin ha giocato a ping pong con un ragazzo di nome Ilja che dopo averlo battuto ha detto di essere pronto a sfidare Putin –  a proposito della determinazione russa. L’anno scolastico è iniziato con un nuovo manuale di Storia, scritto e riscritto in varie edizioni e destinato agli studenti dell’ultimo anno. Promuove il patriottismo, come fa la scuola russa ormai da dieci anni, nella sua forma più perfida di prevaricazioni degli altri stati. Cerca una giustificazione storica per la guerra in Ucraina rileggendo la storia antica e recente e cerca di normalizzare la guerra promuovendo l’idea che non è poi così male, per quegli studenti, un giorno mettersi gli stivali ai piedi, l’elmetto in testa e varcare i confini altrui con il fucile spianato. Non è poi così insano bombardare un paese vicino e non lo è neppure morire in una trincea per conquistare una terra che la tua patria vuole tanto: invadere, conquistare, morire servono a proteggere la patria sempre sotto attacco.  

 

In Russia l’insegnamento è diventato addestramento volto non a creare una normalità di guerra, ma a rendere la guerra normale, decente, accettabile, perpetrabile. I nuovi programmi scolastici russi comprendono ore dedicate al patriottismo, tanta storia con particolare riferimento a quanto successo dal 2014 a oggi – dall’anno della prima invasione dell’Ucraina a quello della seconda – corsi per pilotare i droni. Lo scorso anno i bambini della scuola numero tre della cittadina siberiana di Labytnangi vennero utilizzati come manodopera per cucire uniformi militari, l’attività venne inserita tra quelle socialmente utili. Gli istituti  russi sono officine di guerra e le famiglie, che non possono fare a meno di mandare i figli a scuola, hanno iniziato a pensare a come renderli impermeabili alla propaganda. C’è una parte di Russia che resiste, che non approva le tetre mura che il putinismo sta costruendo attorno ai loro figli, non per questo protesta, ma tenta di evitare che la propaganda rovini le menti delle loro famiglie. C’è una rete di psicologi, avvocati, insegnanti che spiega  ai genitori come introdurre i figli nell’ambiente scolastico senza compromettere la loro educazione, come fare in modo che non incorrano in problemi passando dall’ambiente domestico alla scuola-caserma, come spiegare loro che quello che si sente a casa in aula a volte è meglio non ripeterlo, anche se è giusto. 

 

Masha Moskaleva, una ragazzina di undici anni di Tula, è stata denunciata dai suoi stessi compagni per un cartello su cui aveva scritto “no alla guerra”. Il regime è vendicativo: è stato aperto un procedimento penale contro suo padre per aver screditato l’esercito. Il padre, Aleksej, è stato condannato a due anni di prigione, sua figlia, Masha, ora vive con la madre, non la vedeva da anni prima che la guerra, la scuola, Putin entrassero nelle loro vite. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.