Londra verde pallido

A Londra si vede netta la linea dello scontro sulle politiche green

Paola Peduzzi

Si vede anche, a volerlo fare, una via pragmatica e non ideologica. I passi indietro del sindaco londinese Khan e il pertugio tra catastrofisti e negazionisti

Milano. L’allargamento della zona a traffico limitato di Londra, la Ulez (sta per: Ultra Low Emission Zone), è iniziato nel caos, con il sito collassato del Transport of London, che gestisce l’accesso delle auto, le telecamere vandalizzate e parecchie proteste contro il sindaco della capitale britannica, il laburista Sadiq Khan. Poteva andare meglio, ma si sapeva che l’estensione dell’area in cui si deve pagare un pedaggio per entrare, se non si possiedono veicoli che rispettano criteri severi sulle emissioni, sarebbe stata confusa e litigiosa perché da questa questione locale e tecnica passa il fronte dell’ultima battaglia politica del Regno Unito e non solo: la transizione ecologica, la lotta al cambiamento climatico, la “net zero policy” per ridurre e infine annullare le emissioni di anidride carbonica. 

 

Gli schieramenti sembrano chiari in tutto l’occidente: le forze progressiste sono a favore di politiche – più o meno drastiche, più o meno realizzabili – per contenere inquinamento e surriscaldamento globale mentre le forze politiche di destra sono più caute, con la solita ulteriore distinzione tra la destra liberale che pianifica una transizione ecologica votata alla crescita e all’innovazione, e la destra estrema che dice che l’ambientalismo è una fissazione delle élite e scivola nel negazionismo climatico. In realtà proprio il caso dell’Ulez londinese fornisce qualche elemento in più per comprendere che lo spazio per una posizione moderata esiste anche nelle politiche verdi, ma fra tifoserie, partigianerie e inimicizie diventa quasi trasparente, e irrilevante. Tanto per cominciare: l’Ulez è un’invenzione dei conservatori britannici, in particolare dell’ex premier Boris Johnson che, quando era sindaco della città (e il Tory “verde” David Cameron era al governo), aveva introdotto la prima parte della zona a traffico limitato. Poiché la politica britannica disegna spesso cerchi perfetti attorno alle proprie contraddizioni, a luglio i Tory sono riusciti a mantenere una maggioranza risicata nel seggio lasciato vacante da Johnson (che si è dimesso dai Comuni) proprio combattendo l’Ulez e sconfiggendo così il candidato laburista alle suppletive di Uxbridge. 

 

In sostanza la zona a traffico limitato è diventata nella retorica di destra un’altra delle fissazioni ambientaliste della sinistra, ma ha anche creato dissapori a sinistra perché il sindaco Khan è considerato anche in parte del Labour troppo radicale sui temi green, oltre che estremamente cocciuto. L’ampliamento dell’Ulez voluta da Khan ora copre un’area di 1.600 chilometri quadrati e comprende tutti i 32 quartieri della capitale, cioè riguarda quasi nove milioni di persone. L’ingresso  per chi non rispetta i criteri (le auto a benzina prodotte prima del 2006 e quelle diesel prima del 2015) costa 12,5 sterline al giorno, per autobus e camion si arriva anche a 100 sterline, con multe per i trasgressori fino a 180 sterline. Ci sono esenzioni e incentivi per l’acquisto di veicoli in regola e secondo i dati le auto non a norma  sono 850 mila (circa un decimo di quelle registrate) e dal 2019 a oggi le emissioni a Londra sono diminuite del 50 per cento. Ma la popolarità dell’Ulez è andata diminuendo via via che l’area aumentava di grandezza e oggi i contrari sono più dei favorevoli.

 

Il nome di Sadiq Khan è su tutti i cartelloni dei manifestanti assieme all’invito a dimettersi, ma il sindaco continua a dire che l’Ulez è necessaria, che “l’aria pulita è un diritto e non un privilegio” e che non ha alcuna intenzione di fare passi indietro. I Tory si sono spesso infilati in scontri invero bizzarri, sempre per il fatto che l’Ulez è un’invenzione loro, ma negli ultimi giorni si sono stabilizzati su una posizione meno scalfibile: Khan ha bisogno di questa enorme area a traffico limitato per mettere a posto i conti della città (il comune conta di incassare un miliardo di sterline l’anno). Si fa però più fatica a credere che davvero sia una questione economica e non ideologica questa dell’opposizione all’Ulez quando la candidata al posto di sindaco dei Tory, Susan Hall, promette: aboliremo l’ampliamento dell’area a zero emissioni se vinciamo le elezioni di Londra nel maggio del prossimo anno. Il sospetto si fa più concreto se si sente il candidato sindaco di Reform Uk, il partito del superbrexiteer Nigel Farage: si chiama Howard Fox e dell’Ulez non salva nulla, la vuole abolire del tutto. Passata la battaglia per la Brexit (con perdite enormi), passata la battaglia contro le mascherine e i vaccini anti Covid, ecco che la transizione ecologica diventa l’ultimo fronte di uno scontro in cui si sentono parlare e litigare soltanto i più estremi. Nel Regno Unito la linea si nota in modo netto – è anche tracciata in modo radicale e per questo è già un problema – ma le baruffe sui Green deal dell’Unione europea e degli Stati Uniti, l’ascesa di partiti come il Movimento civico dei contadini nei Paesi Bassi e la contrapposizione tra catastrofisti e negazionisti come se fossero gli unici a occuparsi d’ambiente indicano che il conflitto è già ampio, radicato e polarizzato.

 

La posizione moderata in realtà c’è e siamo ancora in tempo per non tramortirla, ammesso che ce ne sia la volontà. Lo dimostra il fatto che il radicalissimo Khan, che non è insensibile al consenso naturalmente, abbia deciso di stralciare gran parte del piano sulle zero emissioni entro il 2025 al quale era molto affezionato e che ha sempre considerato il motivo per cui è stato scelto ed eletto per governare Londra. Nel 2018, il sindaco aveva pubblicato un documento strategico per i trasporti nella capitale in cui proponeva “l’obiettivo di fornire una zona a zero emissioni nel centro di Londra dal 2025”, ampliandolo al centro di Londra entro il 2040 e coprendo l’intera città “entro il 2050 al più tardi”. Ora una portavoce del comune ha detto: “Non abbiamo piani al momento di nuove aree a zero emissioni”. L’impegno per la riduzione dell’anidride carbonica continua – così come la Ulez – ma tutte le altre misure previste per ora sono congelate. Secondo le stime degli esperti del comune, i londinesi avrebbero dovuto ridurre del 27 per cento i chilometri percorsi ogni anno paragonati al 2018 per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nel 2030. Lo scorso anno, Khan aveva detto di voler sviluppare un sistema di tariffe nel quale “i guidatori pagano per i chilometri percorsi, con livelli diversi a seconda dell’inquinamento prodotto da ogni singolo veicolo, il livello di congestione nell’area e l’accessibilità al trasporto pubblico, con esenzioni e sconti per i redditi bassi e per i disabili”. Ora questa parte della sua strategia ambientalista è stata accantonata: il sindaco sta dicendo che sull’Ulez non si discute ma non ci saranno costi ulteriori da affrontare. Il Wall Street Journal, che ama gli scontri frontali più della ricerca di posizioni mediane, ha scritto: “L’Ulez di Londra è una delle prime misure sottoposte direttamente agli elettori – che in passato hanno detto di essere a favore delle politiche per zero emissioni – in cui si deve pagare direttamente per la riduzione delle emissioni. Questi costi solitamente sono nascosti in bollette dell’elettricità incomprensibili, o restano invisibili dentro a investimenti aziendali non fatti o a posti di lavoro non creati. Interrogati direttamente, gli elettori hanno deciso di ripensarci. Il passo indietro di Khan dice che la realtà sui motori a combustione battono 1 a 0 le fantasie sulle zero emissioni”. A vederla con occhi meno ideologici, si intravede la necessità di un maggior pragmatismo nei confronti delle politiche ambientaliste che restano necessarie, ma come è già accaduto in passato il pragmatismo moderato è il primo a scomparire nel dibattito pubblico.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi