Il tour di Zelensky da Sofia a Istanbul

Micol Flammini

Prima dell'inizio del summit della Nato il presidente ucraino ha viaggiato tra l'Europa e la Turchia per parlare di armi, garanzie di sicurezza e grano. Tra incontri difficili, abbracci tra amici, maledizioni e il viaggio a sorpresa da Erdogan 

Prima dell’inizio del vertice della Nato, che si terrà la prossima settimana a Vilnius, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha cominciato un tour non semplice dall’Europa fino alla Turchia per parlare di armi e di grano. Giovedì sera è arrivato in Bulgaria, uno dei paesi europei in cui l’opinione pubblica è più scettica sul sostegno da fornire all’Ucraina. La politica è particolarmente altalenante, alcuni partiti sono simpatizzanti del Cremlino, ma finora la Bulgaria non ha mai bloccato la strategia europea.  Soltanto il 33 per cento dei bulgari è a favore dell’invio di armi a Kyiv, e mentre  era a Sofia, un prete si è buttato per la strada percorsa dalla macchina di Zelensky per maledirlo. Sembrano note di colore, ma poi il presidente ucraino si è trovato faccia a faccia con il suo omologo bulgaro, Rumen Radev, al quale ha dovuto dire: “Dio non voglia che lei si ritrovi in una tragedia come la nostra”. Radev è un ex generale e ha detto a Zelensky che “sono necessari sforzi più coerenti per ridurre l’escalation” e, riguardo all’invio di armi, ha sottolineato che “in quanto presidente non può ridurre le capacità di difesa della Bulgaria”. Se sulle armi Zelensky non ha trovato un aiuto a Sofia, sul grano ha trovato più sintonia.   La Bulgaria, affacciata sul Mar Nero,  è tra i paesi che più hanno caldeggiato l’accordo sui cereali che scadrà il 17 luglio. La seconda tappa del viaggio è stata in Repubblica ceca, un paese che  ha sempre sostenuto Kyiv e che lo fa in modo ancora più determinato da quando al castello di Praga è arrivato il generale Petr Pavel, molto atlantista, nessuna sbavatura putiniana, contrariamente al suo predecessore Milos Zeman. La terza tappa è stata a Bratislava, dove lo attendeva Zuzana Caputova, la presidente che non si candiderà alle prossime elezioni per le tante minacce ricevute nell’ultimo anno, soprattutto da sostenitori della guerra di Putin. La Slovacchia, come la Bulgaria, è un paese in cui i cittadini sono meno inclini a sostenere Kyiv, in cui la propaganda di Mosca è forte, la rete dei media del Cremlino si è instaurata tempo fa e con buoni risultati, ma il governo non ha intralciato la strategia europea. Anzi, la Slovacchia è sempre stata tra i primi a fornire aiuto e anche ieri Caputova ha promesso sedici unità di artiglieria. 

 

L’ultimo incontro è stato con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, un viaggio a sorpresa, in cui i due presidenti hanno parlato della guerra, della formula per la pace, di garanzie di sicurezza e di grano.  Erdogan rifornisce Kyiv soprattutto di droni ed è tra i pochi che parlano sia con Zelensky sia con Putin, è riuscito, assieme all’Onu, a ottenere proprio quell’accordo per il trasporto del grano che il Cremlino ora minaccia di stralciare. E’ stato il più incisivo dei successi diplomatici raggiunti dall’inizio della guerra e con conseguenze mondiali. Erdogan ha ottenuto un buon risultato, ma non è riuscito a mediare su altro, dalle elezioni in Turchia ha perso la passione per i negoziati e adesso che l’accordo è in bilico – scade ogni due o tre mesi e prima della scadenza Mosca cerca sempre di alzare il tiro – si ritrova di nuovo ad avere un ruolo da interlocutore. Ma in questo cinquecentesimo giorno di guerra che Zelensky ha trascorso fuori da Kyiv per ottenere sostegno, tante conversazioni hanno riguardato anche il futuro della Nato, dalla quale l’Ucraina si aspetta una prospettiva di futuro. Erdogan è cruciale anche per un altro tema: l’ingresso della Svezia ancora bloccato dalle recriminazioni di Ankara. Mentre era a Bratislava, Zelensky ha lanciato un messaggio a Erdogan e a tutta la Nato. Ha detto che l’indecisione su Ucraina e Svezia indebolisce l’Alleanza e fa il gioco di Mosca, che si appassiona sempre a parlare delle fratture occidentali. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.