Meccanismo anti bulli

Dal G7 arrivano le regole anti coercizione cinese che fanno comodo anche a Meloni

Giulia Pompili

Il comunicato finale di Hiroshima contiene "il linguaggio più duro" sulla Cina mai usato in un documento simile: verso un’alleanza occidentale per la sicurezza economica che a Pechino non piace

Tokyo, dalla nostra inviata. Ieri la Repubblica popolare cinese ha annunciato il divieto, per le aziende del paese che hanno a che fare con infrastrutture critiche, di acquistare tecnologia della Micron Technology, il più grande produttore di microchip americano. Dopo una “revisione della cybersicurezza” da parte delle autorità cinesi, ha spiegato la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Mao Ning, si è reso necessario il divieto “per salvaguardare la sicurezza nazionale”. Il ban cinese su Micron è considerato una reazione di Pechino alla serie di restrizioni sulle tecnologie  cinesi decisa dall’Amministrazione Biden lo scorso anno. Il ban dell’americana Micron mostra  “alcuni dei vantaggi che la Cina ha rispetto agli Stati Uniti”. 

 

“Un governo autoritario rapido e temuto che può decidere rapidamente divieti assoluti. E offre un assaggio delle nuove tattiche di Pechino”, scrivevano ieri sul New York Times Paul Mozur e John Liu, cioè colpire un business americano e riempire quello spazio di mercato, anche internamente. Lo scontro tecnologico tra America e Cina non è limitato ai due paesi. Ha anche a che fare con la dipendenza che il resto del mondo ha sviluppato nei confronti di Pechino per l’approvvigionamento di alcune componenti fondamentali per la produzione tecnologica, ed è per questo che il tema  è stato centrale nei  diversi tavoli di lavoro al G7 di Hiroshima che si è svolto lo scorso fine settimana. 

 

Domenica sera Pechino ha convocato l’ambasciatore nipponico in Cina, Hideo Tarumi, per protestare formalmente contro i risultati del summit presieduto dal Giappone, che sarebbe stato organizzato “per dare risalto alle questioni legate alla Cina”. Secondo un funzionario europeo che ha partecipato alla stesura dei documenti del vertice, il comunicato finale contiene “il linguaggio più duro” sulla Cina mai usato in un documento simile. Al di là del riferimento alla salvaguardia dello status quo a Taiwan, nel Mar cinese orientale, nel Mar cinese meridionale, alla condanna delle violazioni dei diritti umani, alla proliferazione nucleare cinese, secondo il ministero degli Esteri di Pechino c’è un altro punto “inaccettabile” nel documento del G7: quello che si oppone alla coercizione economica, e che non menziona la Cina direttamente ma “allude” alla Cina. 

 

L’istituzione di una piattaforma di coordinamento sulla coercizione economica, che lavorerà alle linee guida per mettere in sicurezza le catene di approvvigionamento e a nuove regole per rispondere a chi usa il commercio come ricatto, è il primo vero atto politico del G7 da anni. Nel documento finale dei leader del G7 si fa per la prima volta esplicito riferimento a un sistema di deterrenza da applicare ai rapporti commerciali: ci dotiamo di strumenti efficaci per fare in modo che Pechino non ci pensi nemmeno, a usare come arma politica la sua potenza economica con noi e con i nostri paesi partner. Ma per costruire un sistema di deterrenza efficace, bisogna essere in tanti. E’ a questo che lavoreranno, nel corso dei prossimi mesi, gli sherpa dei paesi G7 e di quelli cosiddetti “ospiti”. I casi di scuola oggetto di studio sono diversi, da quello dell’Australia, colpita dal boicottaggio economico cinese dopo aver chiesto una commissione indipendente sull’origine del coronavirus, oppure la Lituania, cancellata dalle dogane cinesi dopo aver aperto un ufficio di rappresentanza di Taiwan. 

 

La definizione di un meccanismo internazionale anti coercizione economica è una priorità anche per il governo italiano guidato da Giorgia Meloni. Prima di ripartire per l’Italia, la presidente del Consiglio ha fatto sapere che l’uscita dall’intesa con la Cina sulla Via della seta sarà discussa anche in sede parlamentare, probabilmente al Copasir, e che “abbiamo tempo per decidere” – almeno fino alla seconda metà di dicembre di quest’anno, secondo i termini dell’accordo. Ma secondo una fonte del Foglio informata sulla materia è proprio alla definizione del nuovo coordinamento internazionale che guarda l’esecutivo, per avere uno strumento in più nelle negoziazioni con Pechino che evitino la rappresaglia economica. 

 

“Vogliamo un ordine internazionale libero ed equo. Ma dobbiamo essere consapevoli del rischio di armamento delle interdipendenze”, ha detto al tavolo di lavoro del G7 sulla sicurezza economica la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, accogliendo con favore l’istituzione della piattaforma di coordinamento internazionale: “Il mese prossimo, la Commissione proporrà una strategia di sicurezza economica autonoma. Sarà proporzionata e precisa e affronterà i nuovi rischi per la nostra sicurezza economica”.
 
 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.