Rishi business

Così Sunak, il raccoglitore di cocci, ha costruito in silenzio l'accordo con l'Ue sulla Brexit

Paola Peduzzi

L'intesa con Bruxelles è la prima vittoria del premier britannico benestante e pacato che s'è ritrovato a curare "il post sbornia" di un intero paese, prendendosi il tempo necessario per convincere e calmare i falchi del Partito conservatore

Dieci anni fa, l’allora premier britannico David Cameron promise il referendum in/out sulla Brexit; quattro premier dopo, Rishi Sunak potrebbe “vincere la scommessa più grande della sua carriera politica – scrive il Financial Timessistemando questo gran pasticcio”. Premier da centoventisei giorni, a favore della Brexit quando era nel governo di Cameron (che era contrario alla Brexit), di mestiere Sunak fa quello che raccoglie i cocci dei governi conservatori che lo hanno preceduto: alcuni commentatori inglesi dicono sornioni che questo quarantatreenne benestante e pacato s’è ritrovato a curare “il post sbornia” di un intero paese. Lo fa nell’unico modo che gli è rimasto: buon senso, pragmatismo, ragionevolezza. 

 

Di certo Sunak non aspirava a fare da badante a un Partito conservatore che, soprattutto a causa della Brexit ma non solo, ha riesumato il suo storico cannibalismo e s’è messo a morsicarsi da solo, producendo nella seconda metà dello scorso anno prima la caduta di Boris Johnson poi quella di Liz Truss, masticata e risputata (non senza responsabilità proprie) nel giro di una quarantina di giorni. Anzi, si era mosso con astuzia, Sunak, riuscendo a governare quell’ingovernabile crocevia tra fedelissimi di Johnson e fedelissimi di Dom Cummings, il guru della Brexit e di Johnson caduto in disgrazia nel mezzo della pandemia e arrivando a Downing Street alla fine della mattanza interna ai Tory con i suoi abiti impeccabili, gli occhiali con la montatura pesante, e il marchio di “quello serio” appiccicato addosso (s’è persino smesso di rimproverargli il fatto che avesse avuto dei guai di evasione fiscale e che fosse stato sanzionato per i famigerati party in periodo Covid che hanno costretto Johnson a dimettersi). 

 

Aggirandosi tra gli scheletri dei suoi predecessori, Sunak gestisce l’inflazione, la crisi energetica, la guerra contro Putin, i conti in panne, la crescita più bassa dei paesi del G7, gli scioperi e i sondaggi che danno i rivali del Labour con venti punti di vantaggio  con il piglio del problem solver, e sopravvive. Poi c’è la Brexit, che è molto di più di qualche coccio da sistemare: è il problema politico che comprende tutte le pulsioni del Regno Unito, di sovranità e di prosperità economica, oltre che di identità di tutta quella parte del paese – che una volta era trasversale ai partiti, ora non più – che vedeva nel divorzio dall’Unione europea l’occasione del riscatto. Sunak è da sempre convinto che l’uscita dall’Ue fosse un’occasione imperdibile, lo disse in faccia al suo capo Cameron quando c’era da schierarsi prima del referendum, e ha continuato a ripeterlo dopo, cercando di sostanziare con numeri e progetti la cosiddetta via della Global Britain, la prospettiva liberale della Brexit. Quando poi il divorzio ha mostrato la sua faccia mesta di impoverimento e di ristrettezze economiche e di approvvigionamento autoinflitti dal governo britannico, nonostante la prosopopea dello slogan “Brexit done” johnsoniano, Sunak ha cercato di arginare l’ideologia e di ritrovare invece la ragione. C’erano i negoziati sul Protocollo nordirlandese da gestire e, rifiutando l’approccio precedente di fulmini e saette contro l’Ue, il premier ha deciso di affrontarli con l’obiettivo non di affossarli e sfigurarli, ma di portarli a un accordo.

 

Ha scelto però di farlo in silenzio, o forse sarebbe meglio dire che non aveva alternativa alla segretezza, perché aveva capito dalle esperienze dei suoi predecessori che per far funzionare la Brexit nei rapporti con l’Ue (per quel che ancora si può aggiustare), l’unico modo era nascondersi dall’ala più falca dei divorzisti, quella che non accetta compromessi. Un suo consigliere ha sintetizzato bene la situazione: "Se i parlamentari dei Tory  e del Dup”, il partito nordirlandese a favore della Brexit, “vengono coinvolti fin dall’inizio, chiedono cose che non possono essere negoziate. Se vai da loro con un accordo confezionato, dicono di essere stati ignorati”, e lo respingono. Sunak ha preso il rischio della seconda strada, si è preso più tempo di quello che gli stava concedendo l’Ue per convincere e calmare i falchi, ma di fatto per due settimane ha lavorato in segreto con gli europei, badando a ottenere, per una volta, non ciò che gli avrebbe garantito il plauso dei brexitari, ma quel che più conveniva a un Regno Unito schiantato dalla Brexit. Oggi, ha dimostrato di aver avuto ragione, la prima vittoria del raccoglitore di cocci.
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi