Le ragioni dei realisti

Senza la Nato Putin sarebbe già nei dintorni di Cracovia, ma una via d'uscita va trovata

Giuliano Ferrara

Evocare la pace di Versailles è fuori luogo perché non siamo ancora del tutto usciti dal momento Monaco, e finché continueremo a pagare la guerra con il prezzo del gas in una qualunque valuta resteremo alla periferia della città che diede il nome eponimo all’appeasement

Regole elementari, ovvie, per accordi di pace con un nemico in guerra. Primo, non sopravvalutarlo e non sottovalutarlo. Secondo, trattarlo come un nemico e non come una “parte in causa” (non è una lite di condominio). Terzo, scegliere il momento giusto, opportuno, possibile, non offrirne in chiacchiera il pegno prima del tempo suo. Quarto, non perseguire l’umiliazione nazionale del nemico ma niente risparmiare ai suoi capi o al suo capo, sapendo che un accordo di compromesso, il solo al di fuori della capitolazione, legittima ma non toglie lo stigma al nemico aggressore. Si potrebbe continuare, si fosse in vena di manualistica strategica, ma non è indispensabile. Basta pensare che questi primi criteri minimi sono già tutti violati in chi parla oggi di accordo per mascherare la cupidigia di resa a discrezione dell’occidente (motivazioni del sentimento di soggezione, ammantato di pacifismo, grottesche e indifferenti).

Edward Luce è invece un bravo commentatore liberal del Financial Times, intriso di giusto e sano realismo. Ma evocare oggi il fantasma di Versailles, gli accordi durissimi imposti dai vincitori della Prima guerra mondiale che prostrarono la Germania e prepararono secondo Keynes la sua generazione di guerra, la Seconda (Le conseguenze economiche della pace, 1919), è un po’ un fuor d’opera. Non siamo ancora del tutto usciti dal momento Monaco, e finché continueremo a pagare la guerra con il prezzo del gas in una qualunque valuta (Cerasa docet) resteremo alla periferia della città che diede il nome eponimo all’appeasement, l’altra causa della Seconda guerra mondiale, nonostante tutto il resto della coalizione e delle sanzioni e delle armi, un resto che è moltissimo e molto solido. 
Si può con largo anticipo criticare in Biden i residui del moralismo storico tradizionale dei progressisti e democratici e radicali incazzati, pensando alla rigidità e chiusura al momento della pace di Wilson, di Lloyd George e di Clemenceau, criticare è sempre utile, ma non si può, come dicevamo all’inizio, sottovalutare un nemico ancora in espansione e ancora forte di un sistema di alleanze di variabile tempra o viceversa sopravvalutarlo. A questo proposito: l’atomica minacciata da Putin, delle due l’una, o è un bluff macabro o è una richiesta di riscatto che nessuno può pagare, un “datemi la vostra indipendenza e libertà e la mia egemonia mondiale, in cambio avrete la pace atomica per il vostro tempo”. Quindi, virtualmente, non esiste una minaccia nucleare di fronte alla quale entrare in soggezione strategica, che sarebbe la radice di tutti i pacifismi panciafichisti (scusate la terminologia schiettamente fascista, ma contro mosche ronzanti un taglio ironico e marziale talvolta ce vo’).

 Inoltre, direi, “cara, non è il momento”. E’ indice di petulanza discutere di pace prima del tempo, si negozia sotto il rombo del tamburo di guerra, si negozia sempre e sistematicamente, ma si stringe solo a certe condizioni, che oggi non sono in vista. Il sogno di Rabin era affermare il sacrosanto principio che la pace si fa con i nemici, e il nemico era sconfitto strategicamente e recalcitrante, circostanza perfetta, eppure c’era un che di anticipo eroico sui tempi che condannò l’esperimento. I realisti hanno certo ragioni, non quando imputano la rottura dell’equilibrio all’espansione della Nato, teoria insensata visto che non si è responsabili del crollo del nemico imperiale, e senza la Nato Putin sarebbe già nei dintorni di Cracovia e noi alla canna del gas, ma quando dicono che una via d’uscita all’aggressore va trovata. Come e quando è un compito, sulla scia e a fianco di un’Ucraina che è il contenuto e il soggetto della resistenza all’aggressione, non un dettaglio, che le cose affidano a quel moralista democratico e versagliese di Joe Biden.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.