Quanto è concreta la minaccia nucleare? La guerra di Putin vista da Palazzo Chigi

Valerio Valentini

Il cauto ottimismo sull'allerta atomica: per ora pare solo scenografica. Ma la debolezza del capo del Cremlino è ciò che lo rende davvero pericoloso. Il conflitto sarà lungo e cruento, e al Mise si valutano scenari di scarsità di materie prime

La buona notizia è che la minaccia nucleare per ora pare solo verbale. Nel senso che nessuna reale azione ha fatto seguito all’annuncio agghiacciante di Vladimir Putin di domenica: nessuna, almeno, che sia stata captata dai servizi di intelligence Nato. Il che però rappresenta forse l’unica buona notizia. Non lo è, non fino in fondo, neppure il voto all’assemblea delle Nazioni Unite di ieri, quello sulla condanna all’invasione dell’Ucraina su cui non solo la Cina ha confermato la sua astensione come previsto, ma addirittura gli Emirati Arabi hanno cambiato linea schierandosi contro Mosca.

E però l’isolamento sul piano internazionale fa il paio con quello interno, con quel clima, cioè, di crescente tensione che la nostra intelligence ritiene reale, nei corridoi del Cremlino. E il tutto dà l’idea di un leader talmente fiaccato da essere disposto, chissà, anche alle più irrevocabili tra le decisioni possibili. E’ paradossalmente proprio la sua debolezza, a renderlo pericoloso: ed è alla luce di questa consapevolezza che Mario Draghi, in una triangolazione costante con la Farnesina e la Difesa, osserva il mutare degli accidenti sul fronte orientale. Sapendo che è vero quel che il ministro Lorenzo Guerini ha spiegato due giorni fa ai senatori del Pd: e cioè che la guerra sarà lunga e sarà cattiva, e prevederà cambi di passo a cui bisognerà essere pronti. E dunque anche l’invio di armi a Kyiv segna già un modificarsi della prospettiva, e prelude a sua volta a un nuovo rivolgimento.

Perché la resistenza ucraina, per quanto eroica, era evidentemente destinata a non reggere l’urto di un attacco che Putin solo in queste ore sta davvero intensificando. L’accerchiamento di Kyiv sarà completo nel giro di due o tre giorni; e forse già in mattinata i mezzi anfibi russi sbarcheranno a Odessa. Il tutto, nonostante alcune difficoltà che hanno messo a nudo, agli occhi dei servizi Nato, i limiti bellici dei russi sul campo: e allora ecco le 80 ore necessarie per rifornire i mezzi in prima linea, ecco la lentezza con cui è stata sminata la costa nel mare di Azov, rallentando di molto la presa di Mariupol. Ma ora lo scenario è mutato: Putin ha aumentato l’intensità dell’offensiva, e dunque quando le nostre armi arriveranno (per ultime, o quasi, se a che quelle tedesche sono state consegnate ieri) serviranno più che altro in un’ottica di guerriglia (gli Stinger terra aria, ad esempio, andranno a colmare un deficit quasi clamoroso, nelle forze ucraine, che nei giorni scorsi riuscivano a intercettare coi loro radar i velivoli russi, ma poi facevano fatica a bersagliarli).

Insomma, ci si prepara a una resistenza lunga, sperando che ciò esponga Putin al logoramento economico per via delle sanzioni, il che potrebbe dare magari concretezza a uno scenario di “destituzione interna”. Ma in generale, i vertici Nato sono convinti che bisognerà muoversi su un sentiero incerto, lungo il quale andranno cercati dei momenti propizi per favorire delle mediazioni che costituiscano uscite dignitose per tutte le parti in causa. Non subito, però. Perché ora negoziare un accordo con Putin significherebbe riconoscere delle ragioni che non ha. E lo sa anche Matteo Renzi, che con la diretta interessata parla spesso in questi giorni, che l’idea di Angela Merkel come mediatrice tornerà buona non subito, ma tra un po’ di tempo. Quanto, difficile dirlo. E in questo senso il perdurare del conflitto pone incognite anche all’Italia: perché il premier è convinto di avere riserve energetiche tali per gestire l’intero 2022, ma al contempo ha concordato con Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo, di valutare le vie necessarie – comprese azioni di contenimento – per affrontare eventuali problemi nel reperimento di materie prime.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.