Fabien Roussel, candidato comunista alle presidenziali francesi (foto EPA)

colpo di scena

In Francia il candidato comunista inneggia alla felicità. Panico nella sinistra musona

Mariarosa Mancuso

Finalmente qualcuno nella gauche propone di "riabilitare la prosperità". Altro che l'angoscia dell'avvenire e il terrore per le diseguaglianze, che attirano parole d'ordine malinconiche e meste

Il mondo ogni tanto fa una giravolta. Mahmood e Blanco vincono l’antico Festival di Sanremo guardandosi negli occhi, brillantini sulle biciclette e bluse trasparenti con i ricami. Fabien Roussel, candidato non di primissimo piano alle presidenziali francesi, avanza con lo slogan “La Francia dei giorni felici”, celebrando il vino, la carne buona e il formaggio invecchiato. A occhio diremmo destra campagnola, tra i gilet gialli e la famiglia cattolica di Michel Houellebecq in “Annientare”. Sbagliato: è il segretario del Partito comunista francese.

Scandalo (in Francia). La sinistra sceglie piuttosto la quinoa e altre specialità vegane, le biciclette (senza lustrini) per rispettare il clima e risparmiare energia. I buoni vini e i buoni formaggi potrebbero aumentare la “quota di privilegio” già goduta dai bianchi europei (“Check your privilege” è la frase irritata che chiunque cerchi di nuotare controcorrente al wokismo imperante si sente rivolgere). Per completare il quadro: la comicità ha nemici che la vorrebbero morta per sempre, il sesso richiede ripetuti consensi (ancora per fortuna non scritti), prendere un aereo per andare in posti lontani fa piangere Greta. Mancava giusto il virus, per rendere tutto più difficile. Il povero Roland Barthes si stupirebbe, nel constatare quanto poco francese, e meno ancora classificabile tra i valori progressisti, è ormai la bistecca con le patate fritte da lui celebrata nei “Miti d’oggi”.    

Il comunista gaudente ha spinto Libération a sviscerare la questione in un articolo di copertina, la scorsa settimana. Intanto, era arrivato sugli scaffali delle librerie “Quartier rouge. Le plaisir et la gauche” di Michaël Foessel. Che la prende larga, cominciando a raccontare “Germinale” di Émile Zola: i minatori sono in sciopero e il padrone Hennebeau osserva con un certo stupore gli scioperanti che “non possedendo niente, si possiedono tra loro”, mentre a casa sua non riscontra lo stesso entusiasmo carnale.  E’ indubbia la poca allegria che caratterizza oggi il sol dell’avvenire (moriremo affogati, moriremo per l’aria cattiva, moriremo a furia di prevenzione, o privandoci di questo e di quello, nel tentativo di essere immortali). Il saggista riscontra autopunizione, sofferenza, e castità – o almeno disinteresse per la carne non mediata da uno schermo. Mancano anche le belle manifestazioni di una volta, sostiene. Ora son roba da gilet gialli e No vax. Sarà che le cause ormai sono troppe, perlopiù combattute su change.org (quando va bene) o a colpi di scomuniche su Twitter (quando va peggio).

Nella grande confusione sotto il cielo, spunta un timido slogan: “Mettre du désir dans la sobriété” (i fiori nei cannoni avevano maggiore potenza, anche coreografica). E “désir” non è ancora “plaisir”, c’è tanta strada da fare. Forse è proprio l’elegante “sobriété” tanto invocata a rovinare tutto. L’ascetismo progressista che prima toglie di mezzo la bistecca con le patate fritte, salvo poi scoprire che la quinoa e l’avocado non fanno benissimo al mondo che i duri e puri vorrebbero preservare intatto. Come se gli umani fossero antipatici moscerini che disturbano la meravigliosa armonia del leone che divora la gazzella.  

L’angoscia dell’avvenire e il terrore per le diseguaglianze impediscono qualsiasi parola d’ordine che non sia malinconica, mesta o luttuosa nei casi peggiori. Poco per smuovere le masse, o anche interessare chi voglia migliorare la propria posizione, non peggiorarla. Pensa e ripensa, qualcuno a sinistra propone di “riabilitare la prosperità”. Primo passo per non stare sempre immusoniti, e magari avventurarsi – mica fa male – verso un po’ di libertaria felicità.

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