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un foglio internazionale

Il woke, oppio degli intellettuali

L’errore di vigilare perché la realtà sarebbe macchiata ovunque dalla traccia del male

In due note pubblicate per il think tank Fondapol, intitolate “L’idéologie woke. Anatomie du wokisme” e “L’idéologie woke. Face au wokisme”, Pierre Valentin, studente di master in Scienze politiche presso l’Université Paris-2 Panthéon-Assas, diplomato in Filosofia e politica presso l’università di Exeter, nel Regno Unito, traccia i contorni della nuova militanza di sinistra negli Stati Uniti e in Francia, una militanza in continua espansione. Movimento ideologico proveniente dai campus americani, il “wokismo” è al centro dei dibattiti mediatici e intellettuali. Eppure, la maggioranza dei francesi non ne ha mai sentito parlare, e pochi, pur utilizzando il termine, sono capaci di definirne il significato con precisione. Tanto che alcuni affermano che il “woke” non esiste, è un fantasma della destra e della sinistra repubblicana. Qui l’intervista di Kevin Boucaud-Victoire a Valentin, pubblicata sul magazine Marianne il 28 luglio scorso.
  


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Marianne – Come definirebbe l’“ideologia woke”?

Pierre Valentin – La traduzione letterale di “stay woke” è “stare allerta”. Questa espressione è stata anzitutto popolarizzata negli Stati Uniti all’interno della comunità afro-americana, in cui appare sporadicamente nel corso del Ventesimo secolo. Diventa uno slogan politico diffuso su larga scala soltanto quando il gruppo Black Lives Matter lo rivendica, nel 2013 e nel 2014. Verso coloro che analizzano il “wokismo” vengono regolarmente formulate due critiche. La prima è quella di criticare il rigore di questo termine, che sarebbe “caotico” e “fumoso”. Ognuno dice di essere il woke di qualcun altro. La seconda, sulla stessa linea, è quella di dire che il termine è una creazione inventata post-hoc da persone di destra e dai detrattori di questo movimento. Affrontiamo le critiche seguendo l’ordine. La definizione data da Radio-Canada, citata da Mathieu Bock-Côté (“La Révolution racialiste et autres virus idéologiques”, Presses de la Cité, 2021, p. 72), è la seguente: “In un contesto di lotta in materia di giustizia sociale, questa espressione definisce una persona che è sensibilizzata nei confronti delle ingiustizie che possono verificarsi attorno a lui”. Questo termine rimanda all’immaginario della gnosi, eresia cristiana che concettualizza una piccola élite che possiederebbe un sapere qualitativamente superiore; un paio di occhiali che permetterebbe di vedere come la realtà quotidiana sia in verità macchiata dalla traccia del male presente ovunque. Altrove, la nozione di wokismo è stata tradotta sotto il termine “vigilitantismo”. 

 

E’ sufficiente per caratterizzare un’ideologia?

Non si può negare che il fatto di categorizzare un’ideologia che predica la non-categorizzazione non sia talvolta una sfida! Il wokismo è caratterizzato soprattutto da uno scetticismo radicale quanto alla possibilità di ottenere un’informazione o una verità obiettiva, così come dall’idea secondo cui la società sarebbe formata da sistemi di potere e gerarchie che deciderebbero ciò che si può sapere e in che modo. Come notano gli intellettuali James Lindsay e Helen Pluckrose, in questo postmodernismo mutante risuonano continuamente questi quattro temi chiave: l’offuscamento delle frontiere, il potere accordato al linguaggio, il relativismo culturale, o ancora l’eliminazione della nozione di individuo e di universale. Veniamo ora alla seconda critica, secondo cui questo termine è un’invenzione dei suoi contradditori. Nella vita politica, bisogna naturalmente diffidare delle descrizioni in cui nessuno si riconosce, perché servono generalmente a dequalificare e non a qualificare. Tuttavia, il termine woke – contrariamente a ciò che alcuni provano a far credere – ha iniziato la sua vita sotto forma di rivendicazione positiva, e il suo scivolamento verso l’anatema si è verificato soltanto in un secondo momento. A titolo di esempio, nel 2018, il Monde considerava ancora che “essere woke” aveva più o meno come sinonimo “essere cool” nella cultura nera americana.  

 

A cosa assomiglia il “woke” medio?

Per un movimento che milita per la dissoluzione di qualsiasi norma, il profilo sociologico “tipo” del woke si rivela sorprendentemente semplice da disegnare. Il sondaggio Ifop realizzato lo scorso febbraio è stato analizzato all’inizio del secondo volume di questa nota, ed è ricco di insegnamenti. Anzitutto, notiamo che non esiste un proletariato woke. La correlazione tra redditi alti dei genitori e comportamenti woke dei figli salta agli occhi. Un’analisi dei casi di relatori “disinvitati” in America rivela che lo studente medio iscritto in un’università dove gli studenti hanno tentato di restringere la libertà d’espressione proviene da una famiglia il cui reddito annuo è superiore di 32 mila dollari rispetto a quello dello studente medio in America. In Francia, solo il 40 per cento degli operai ha sentito parlare della scrittura inclusiva e solo il 18 per cento sa di che cosa si tratta, contro il 73 per cento nelle categorie superiori – il 57 per cento ha risposto di sapere cosa sia. Il wokismo è dunque un “oppio degli intellettuali”, per riprendere la celebre formula di Raymond Aron sul marxismo. Tuttavia, poiché la cultura delle élite tende a essere imitata da quelli che vorrebbero farne parte, questa potrebbe estendersi progressivamente a tutte le classi sociali. In seguito, l’età svolge un ruolo fondamentale. Non ci sono infatti vecchi woke. I woke, in Francia, hanno generalmente tra i 18 e i 35 anni. Tuttavia, in America, dove il wokismo influenza la società da più tempo rispetto alla Francia, si nota che alcuni, passati i quarant’anni, restano rinchiusi in questa ideologia. Ancora una volta, ciò ci permette di affermare che questa ideologia potrebbe stabilirsi in maniera duratura nelle nostre società. Qualsiasi sistema di pensiero difeso dai giovani dei milieu agiati è destinato a crescere rapidamente in termini di popolarità. Inoltre, il wokismo è difeso molto più dalle donne che dagli uomini. L’elettorato più favorevole all’ideologia woke fra i quattro elettorati che hanno raccolto più voti al primo turno delle elezioni presidenziali del 2017 è quello di Jean-Luc Mélenchon (leader della France insoumise, il partito della sinistra radicale, ndr). E’ seguito da quello di Emmanuel Macron, al cui interno si può osservare una netta spaccatura tra gli elettori giovani e i più anziani su questa questione. 

 

Lei mostra che questo pensiero è penetrato facilmente nei campus statunitensi. Qual è la situazione in Francia?

Direi piuttosto che il pensiero dei campus statunitensi, ormai, sta penetrando facilmente in tutta l’America! La questione del wokismo è probabilmente il principale motivo di divisione nella vita politica americana, in particolare il tema della teoria critica della razza, dibattito che impazza. Il sondaggista Frank Luntz stima che la questione del wokismo sia appena entrata nella top 3 delle questioni più determinanti della vita politica britannica, pronosticando allo stesso tempo che entro i prossimi sei-dodici mesi il Regno Unito dovrebbe seguire “l’esempio” americano. La grande differenza con gli Stati Uniti è che in Francia abbiamo una sinistra anti woke relativamente potente. Una delle ragioni che spiega questo fatto, a mio avviso, è il contro-modello americano. Qui non parliamo nel vuoto! L’esperienza del wokismo su vastissima scala ha già avuto luogo, e si chiama Stati Uniti d’America, versione 2021: una società dove la spaccatura élite/popolo è ancora più pronunciata di prima, dove il voto di protesta è estremamente forte, dove tutti i temi, senza alcuna eccezione possibile, sono ormai politicizzati. Vogliamo quel modello? Una parte della sinistra francese, lucida, capisce molto bene, e resiste. L’altra ragione della resistenza di una parte della sinistra all’ideologia woke, secondo me, è di ordine intellettuale. Kimberlé Crenshaw, che ha teorizzato allo stesso tempo l’intersezionalità e la teoria critica della razza, incarna bene la svolta nel postmodernismo (dalle conseguenze inimmaginabili) verso la fine degli anni Ottanta, e all’inizio degli anni Novanta. Il progressismo, che fino all’altro ieri voleva svuotare le categorie sessuali e razziali di qualsiasi pertinenza politica, si rivolta contro sé stesso, e spiega, riprendendo gli scritti di Jacques Derrida e Herbert Marcuse, che la maniera migliore per lottare contro una gerarchia o un binario ingiusto è rovesciarli. Si passa così da una richiesta di uguaglianza a una richiesta di gerarchia “al contrario”, dove il “dominato” dominerebbe il “dominante”. La sinistra universalista francese è più facilmente scossa da questo discorso rispetto alla sinistra esistente nel mondo anglofono, che possiede molti meno anticorpi intellettuali per resistere. Questa frattura all’interno della sinistra sarà determinante per il seguito del wokismo in Francia. 

 

I woke sono presenti altrove al di fuori dei campus?

Bisogna trattare il wokismo come un’epidemia, nella misura in cui lui stesso si considera positivamente come un “virus”. Tuttavia, come di fronte a qualsiasi epidemia, esistono dei virologi “rassicuranti”. Dopo gli eventi molto mediatizzati dell’Università di Evergreen nel 2017, dove una coppia di professori è stata costretta a fuggire dal campus perché temeva per la propria vita, il tema del wokismo è diventato inevitabile. La polvere non poteva più essere nascosta sotto il tappeto. I “rassicuranti” hanno allora iniziato a spiegare che se è vero che questo fenomeno esisteva e poteva talvolta rivelarsi pericoloso, sarebbe comunque rimasto circoscritto ai campus americani. Questo pronostico è stato doppiamente smentito dalla realtà: il wokismo è evaso da molto tempo dai campus americani, ma anche dagli Stati Uniti. L’altro pronostico ingenuo era di credere che questi giovani avrebbero abbandonato le loro università per farsi rimodellare dall’impietoso mondo del lavoro. E’ accaduto esattamente il contrario: hanno impietosamente rimodellato il mondo del lavoro a loro immagine e somiglianza. (Traduzione di Mauro Zanon)