Una storia triste

Dimon dice che JP Morgan durerà più dei comunisti cinesi, Pechino si offende, Dimon si scusa

Priscilla Ruggiero

Guai a mettere in dubbio la potenza e la longevità del Partito di Xi, ché l’unico modo per uscirne poi è quello di abbassare la testa 

Jamie Dimon, l’amministratore delegato di JPMorgan Chase & Co, “cercando di enfatizzare la forza e la longevità dell’azienda” ha osato oltrepassare e sminuire quella del Partito comunista cinese. “Ero a Hong Kong e ho fatto una battuta riguardo al fatto che il Partito comunista stesse festeggiando il suo centesimo anniversario.  E così anche JP Morgan.  Scommetto che dureremo più a lungo”: ha risposto così a una domanda su come fare business in Cina martedì, in una tavola rotonda al Boston College Chief Executives Club, aggiungendo che se fosse stato in Cina non avrebbe potuto pronunciare quelle parole – anche se probabilmente sarebbe stato ascoltato comunque. E infatti i vertici cinesi hanno sentito, talmente bene che neanche ventiquattr’ore e Dimon si è aggiunto alla lista dei pentiti che hanno chiesto scusa al presidente Xi Jinping: “Mi dispiace, non avrei dovuto fare quel commento”. 

 

Il dirigente americano stava godendo di alcuni privilegi da parte del governo comunista: era appena tornato da Hong Kong (lì la sua banca ha 4 mila dipendenti) dove gli era stata concessa un’esenzione speciale per bypassare la quarantena di tre settimane, e ad agosto aveva ottenuto l’approvazione normativa di Pechino per assumere (primo nella storia) la piena proprietà dell’impresa in titoli cinesi. La banca con sede a New York guadagna 20 miliardi di dollari in Cina e ha filiali in molte città del paese, tra cui Pechino, Shanghai, Shenzhen e Guangzhou. 

 

“Questo ragazzo è davvero arrogante, sembra che JP Morgan non voglia la sua licenza appena acquisita”, ha commentato su Weibo Shen Yi, un docente della Fudan University, mentre Hu Xijin, caporedattore del  Global Times ha scritto: “Scommetto che il Partito comunista sopravviverà agli Stati Uniti d’America”. A conferma del fatto che nessuno può scherzare con Pechino, neanche un uomo di business che dice cose giuste. Guai a mettere in dubbio la potenza e la longevità del Partito di Xi, ché l’unico modo per uscirne poi è quello di abbassare la testa e chiedere scusa.