ambiguità strategica

La voce della Nato, Putin e un “se” grande come tutta l'Ucraina

Giuliano Ferrara

L’Alleanza avrebbe dovuto abbaiare davvero, ma per tempo. Invece si è scelta la linea dell’assurdo logico. Siamo schierati a difesa di un paese invaso dai russi, ma non siamo in guerra con la Russia, per carità. Il più grosso pasticcio dalla fine della Guerra fredda

Se la Nato avesse davvero abbaiato per tempo e avesse fatto sapere: se Putin invade da est noi entriamo da ovest, perché è nostro interesse vitale impedire l’invasione di un paese che confina con l’Ue e con la Nato stessa, non vogliamo la carneficina, non vogliamo otto milioni e più di profughi, non la diamo vinta in partenza a un autocrate che vuole rovesciare l’89, il Calvario di questa guerra non ci sarebbe stato. Il “se” nella storia è pericoloso, ma spiega più del professor Barbero, che è un se e un ma vivente e ridente, come stiano le cose sul serio. Mosca si sarebbe accontentata della Crimea, non poco, avrebbe fatto la voce grossa per proteggere i suoi mercenari annidati in certe minori regioni del Donbas, si sarebbe di nuovo seduta al tavolo di Minsk per evitare una conflagrazione pericolosa per lei, per evitare il passaggio alla Nato stessa dei paesi del Baltico, per evitare una disfatta economica che sta ritardando con l’economia di guerra ma non all’infinito, per evitare di finire del tutto in braccio alla Cina eccetera.

 

Invece la linea rossa non si è vista, contano solo quelle dichiarate dal dottor Stranamore Medvedev, da Dimitri Peskov e da Maria Zacharova, conta solo il progetto strategico neoimperiale che doveva portare l’Armata Rossa a Kyiv in una settimana. Invece si è scelta la linea dell’assurdo logico. Siamo schierati a difesa di un paese invaso dalle truppe russe, ma non siamo in guerra con la Russia, per carità. Lo ripetono ogni giorno Tajani e anche Crosetto, irritati con l’avventurismo di Macron.

 

Il risultato è che la Russia è in guerra con noi, e se dovesse sfondare il fronte ci metterebbe di fronte all’eventualità di dover riparare i danni della mancata deterrenza con un azzardo detto “ambiguità strategica”, l’azzardo appunto di Emmanuel Macron e probabilmente degli inglesi, il non escludere l’intervento diretto a difesa di un paese che vuole essere europeo e atlantico. Sono discorsi vani, a posteriori. Sono elucubrazioni quasi senza senso, ma quasi. Kissinger, che era l’uomo del compromesso a est e dell’architettura cosiddetta di sicurezza in Europa, comprese come stavano le cose quando disse che ormai era maturo il momento di inserire l’Ucraina nella Nato. Troppo poco, troppo tardi. Macron ha molti difetti, ma non si può dire che non avesse avvertito: la Nato ha l’encefalogramma piatto. Sicché si è proceduto a armare, con il contagocce, un popolo di quaranta milioni di abitanti che si batteva contro un paese che ha il decuplo dello spazio fisico e delle materie prime e degli armamenti, compresa l’atomica, e tre volte o quattro la sua popolazione. 

 

La “martoriata Ucraina”, espressione ipocrita di un papa mezzo gesuita, è dunque invitata dai pacifisti di Monaco e del Vaticano a alzare la bandiera bianca e a offrire al despota del Cremlino, che certo è uno statista e sa bene informarsi sulle debolezze del nemico strategico, l’occasione di incorporare il territorio della vittoria ai danni non solo di Zelensky ma di tutto l’occidente incastrato nei suoi dubbi, nelle sue campagne elettorali, nelle sue divaricazioni di interesse che sembravano scomparse con la svolta dei tedeschi, ma non lo sono. Aspettando un eventuale Donald Trump, eletto con il contributo decisivo dei campus utili idioti della destra nazionalista e autoritaria d’America. Non è il più grosso pasticcio dalla fine della Guerra fredda, malgrado la mobilitazione dei volenterosi e dei paesi dell’est europeo direttamente minacciati da questa progressione dell’esercito russo?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.