Vittorio Emanuele Parsi - foto Ansa

L'intervista

"La lentezza europea rischia di portare l'Ucraina a perdere la guerra". Parla Vittorio Emanuele Parsi

Marianna Rizzini

Il politologo torna sulle parole del presidente Emmanuel Macron riguardo l'Europa in "pericolo di morte" per la guerra in Ucraina: "Se cade Kyiv avremo dato plastica dimostrazione che anche l’Ue è solo e soltanto un bluff"

Le parole del presidente francese Emmanuel Macron all’Economist, sull’Europa “in pericolo di morte” e sul fatto di non poter “escludere nulla”, neanche l’invio di truppe, nel caso in cui la Russia rompesse le linee del fronte, visto che Vladimir Putin “non sta escludendo niente”, sollevano un grande interrogativo su una guerra non ipotetica, ma presente: che fare? Alcuni candidati italiani alle elezioni europee, a destra e a sinistra, vorrebbero disinvestire dall’Ucraina, altri circumnavigano il problema. Che però è lì, indicato da Macron. “Macron dice qualcosa che sappiamo, ma che viene continuamente rimosso”, dice il politologo Vittorio Emanuele Parsi: “La lentezza e l’insufficienza europea, ma anche la lentezza ‘contingente’ americana, rischia di portare l’Ucraina a perdere la guerra o a dover lottare in condizioni davvero disperate”.
 

Macron dice: se l’Ucraina cade, avremo la minaccia russa ai confini. “Soprattutto”, dice Parsi, “avremo dato plastica dimostrazione che anche l’Europa – che pure in questi due anni ha cercato di darsi maggior peso sullo scenario internazionale, mostrando una maggiore capacità di deterrenza – è solo e soltanto un bluff. La Russia si troverebbe a poter fare come vuole, e la quinta colonna dei cosiddetti pacifisti, in Italia e in Europa, che di fatto fa il gioco del Cremlino, avrebbe facilità nel puntare sul disinvestimento”. C’è chi rifiuta a prescindere il concetto di una guerra che è già sul suolo europeo. “Macron ci ricorda che non basta non volere nemici per non averne”, dice Parsi: “Quando ti confronti con un paese come la Russia di Putin, l’unica posizione che puoi avere è resistere o arrenderti. Tutto il grande chiacchiericcio che si fa sulla trattativa è continuamente smentito dal Cremlino che dice: non ci sono le condizioni per trattare. Per il Cremlino trattativa significa resa, bandiera bianca dell’Ucraina”. Qui però qualcuno si candida dicendo: disarmiamo. “C’è una convergenza delle ali estreme: da un lato i residuati di un’estrema destra amica dei dittatori, tra cui la Lega di Matteo Salvini o meglio quello in cui Salvini ha cercato di trasformare la Lega, perché la Lega autentica non è un partito parafascista di estremisti sovranisti”. Tanto che il governatore veneto Luca Zaia ha detto che non voterà il generale Vannacci, candidato da Salvini.
 

Dall’altra parte, dice Parsi, “ci sono le cosiddette anime belle, come quel personaggio che Michele Santoro voleva candidare e non ha potuto candidare per mancanza di firme, Nicolai Lilin, o come il candidato del Pd Marco Tarquinio, inascoltabile, o come la capolista nel nordovest sempre del Pd Cecilia Strada. Mi pare che Elly Schlein stia adottando questa politica e candidando questi nomi per cercare consenso a sinistra – d’altronde con quello che fa e dice è difficile allargare al centro. Ma in parte penso dia anche sfogo a quelle che sono le sue opinioni o almeno a parte del suo pensiero. Comunque sia, l’ambiguità strategica del Pd mi pare molto ambigua e poco strategica”. Il perché del grande rimosso sulla guerra, dice Parsi, affonda le sue radici nella storia: “Questo è un paese che resta nell’animo cattocomunista, si vede nella fortissima avversione al sostegno militare all’Ucraina, peggiorata col proseguire della guerra. Persiste l’idea che basti fare una bella marcia Perugia-Assisi e invocare la pace perché la guerra finisca. Si è convinti che la guerra sia prodotta dai mercanti d’armi: un insieme di francescanesimo e marxismo spiegati dal cugino al bar; un sintomo del peronismo dilagante nel paese”. L’Europa che uscirà da queste urne dovrà prendere decisioni importanti.
 

“Macron pone un punto politico da cui non si può scappare, ripeto, e lo pone osservando quello che accade lungo la linea del fronte: se domani dovesse rompersi, che facciamo? Lasciamo che i russi avanzino fino alle porte della Polonia o entriamo in Ucraina per tutelare quella parte di Ucraina non occupata dai russi?”. C’è chi parla di “soluzione coreana”. “Si sprecano chiacchiere ma si dimentica”, dice Parsi, “che la cosiddetta soluzione coreana è una linea armistiziale tutelata da massicce truppe di paesi terzi. Ma qui si fatica a uscire dalla confort zone. Non si può parlare di guerra che ti danno di  guerrafondaio. Macron non è certo bellicista, basti guardare la quantità di armi che la Francia ha inviato all’Ucraina, poco più dell’Italia, poco rispetto a Danimarca, Olanda, Germania, Polonia. Ma l’Italia è un paese la cui cultura politica diffusa veicola il pensiero che con gli slogan si risolvano tutti i problemi: lotta agli evasori, abbassiamo le tasse, no alla guerra. Mi viene in mente Cetto La Qualunque: più pace per tutti. Come no”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.