L'opposizione ungherese ha trovato un punto su cui colpire Orbán: la Cina

Micol Flammini

Il vaccino Sinopharm, l'Università Fudan e la ferrovia fino a Belgrado sono progetti promossi dal primo ministro ungherese che rendono Budapest più esposta alle minacce di Pechino. Non piacciono neppure ai cittadini e Péter Márki-Zay, avversario del premier, è pronto a renderli centrali in campagna elettorale 

Péter Márki-Zay, che in Ungheria è già noto come Mzp, ha portato una sferzata di cambiamenti nella politica ungherese. Il primo cambiamento è stato far sentire all’opposizione, che indipendentemente dalle ideologie si è unita contro il partito di maggioranza Fidesz, che vincere le elezioni è un’impresa possibile. Il secondo cambiamento è stato far sentire il premier, Viktor Orbán, nella condizione di ripensare le sue strategie politiche e anche le sue amicizie internazionali scomode, nelle quali ha trascinato l’intera Ungheria. L’amicizia meno gradita, all’opposizione e anche ai cittadini, è quella con la Cina. Durante i suoi mandati Orbán ha approvato una serie di affari promossi da Pechino: l’apertura dell’Università Fudan di Shanghai, una ferrovia che va da Budapest a Belgrado, l’acquisto di ventilatori e vaccini durante la pandemia. Tutte queste iniziative hanno sollevato una serie di obiezioni e di accuse di corruzione da parte dell’opposizione. Márki-Zay, che è uno che parla molto chiaro, ha detto che Orbán per costruire la ferrovia ha accettato un prestito di 1,9 miliardi di dollari e in cambio ha promesso di mettersi di traverso quando l’Unione europea cerca di sollevare questioni quali  il mancato rispetto dei diritti umani da parte di Pechino a Hong Kong o nello Xinjiang. Finora l’Ungheria a Bruxelles ha sempre bloccato le risoluzioni degli europei sulla Cina. 

 

Riguardo all’università cinese che Orbán vorrebbe aprire a Budapest, manca il sostegno della popolazione della capitale, che dovrebbe anche finanziarne la costruzione. Il premier ha detto che saranno i cittadini a decidere se aprirla o no, ma il referendum proposto dal premier è stato rimandato a dopo il voto.  Nel frattempo le strade del quartiere in cui dovrebbe sorgere il campus hanno cambiato nome per volere dei cittadini  e sono state dedicate agli uiguri, a Hong Kong, a Taiwan, a scrittori e artisti non graditi al regime di Pechino.  Il capitolo più doloroso però riguarda la pandemia. Orbán ha spesso attaccato l’Unione europea per non dare abbastanza aiuto e ha invece ringraziato la Cina. Si tratta di una narrazione molto distorta, l’Ue ha fatto tanto per aiutare i paesi membri, mentre la Cina  anche durante la  crisi sanitaria ha avuto un atteggiamento rapace: Orbán è stato l’unico tra gli europei a far approvare il vaccino cinese Sinopharm e ha anche accettato di pagarlo 32 euro a dose, il doppio rispetto al prezzo negoziato dall’Ue per l’acquisto di Pfizer. Il vaccino cinese è stato vissuto come un’imposizione da parte di tanti cittadini ungheresi, nonostante sia lo stesso con cui si è fatto vaccinare Orbán.

 

Márki-Zay non fa mistero di quali punti cercherà di colpire di più il premier e il suo partito, dopo tutto, è anche un ex membro di Fidesz, un deluso dalla svolta sovranista che però sa meglio di altri come affrontare il premier. La politica estera e la posizione internazionale dell’Ungheria saranno centrali in questa campagna elettorale che si annuncia tesa e brutale: i primi sondaggi danno i due candidati testa a testa. Per questo Orbán sta incominciando ad avere qualche ripensamento, sa che non sarà un voto come i precedenti, ora ha un avversario che vuole vincere e crede di poterlo fare. Orbán non parla più della necessità di stabilire un’amicizia più stretta con Pechino o con Mosca e ha iniziato a mettersi sulla difensiva: per sostenere gli affari conclusi con la Cina, si concentra sugli investimenti cinesi che secondo lui sarebbero stati necessari a migliorare il paese e limita le lodi nei confronti di Pechino. Márki-Zay invece lo incalza, attacca, dice che dietro a ogni patto con Pechino c’è una resa, c’è una minaccia. Qualora dovesse vincere, sarà complesso riassestare le relazioni internazionali dell’Ungheria, ma è pronto a organizzarsi con il nuovo asse anticinese  che si sta costituendo nei paesi europei centrali e orientali. Ieri era in Slovacchia a parlare anche di questo e su Twitter ha ribadito uno dei pilastri della sua battaglia mentre postava foto della sua visita: “L’Ungheria non deve diventare preda della Russia e della Cina”. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.