Keir Starmer (foto LaPresse)

Voglia di una sinistra “smart”

Paola Peduzzi

Il governo ombra di Starmer a Londra. La mano tesa di Biden a Washington. Per la prima volta l’unità di sinistra ha una regia

Milano. Ieri il nuovo leader del Labour britannico, Keir Starmer, ha finalizzato il suo governo ombra, che è la sintesi esatta della promessa fatta durante la corsa per la leadership: unire il partito. Gli esponenti più radicali della stagione corbyniana sono stati sostituiti con alcuni politici noti – Ed Miliband su tutti, già sconfitto dai Tory nel 2015 – e da altri molto meno, ma con le idee chiare e due obiettivi: superare l’ormai logora dicotomia Corbyn-Blair e proiettare il Labour nel 2020, con le idee che rappresentano oggi la sinistra. I blairiani gongolano in silenzio, i corbyniani strillano denunciando un governo “che sta a destra di quello dei Tory”, ma il tempo per la guerra civile è poco, e forse è proprio finito: Starmer ha preparato una road map per la gestione del coronavirus, fase uno e fase due, ed è l’unica cosa che conta davvero.

 

 

C’è chi dice che la pandemia porterà via lo stato di diritto e le certezze democratiche. Per ora ha portato via Corbyn e ha lasciato una “soft left” che aspira a un’altra etichetta, quella di “smart left”. 

 

Negli Stati Uniti è in corso lo stesso processo. Ieri mattina il sito Politico titolava: “Le primarie democratiche le ha vinte Barack Obama”. Si parla molto del ruolo che l’ex presidente ha avuto nel convincere Bernie Sanders, senatore del Vermont , a ritirarsi, ma quel che conta, esattamente come a casa Labour, è che l’istinto della sinistra americana sia quello di unirsi, di lasciar perdere il tifo ideologico pure molto sentito (e doloroso: si tratta di identità, di visioni, di idee), perché c’è un’emergenza dalle conseguenze inimmaginabili e perché c’è Donald Trump da battere a novembre. Joe Biden ha intenzione di includere il più possibile Sanders e i sandersiani nella sua campagna: i consiglieri sono stati contattati, così come i deputati che si erano schierati con Sanders. Con Biden che è un dialogante da sempre, l’operazione non sembra nemmeno troppo opportunistica. Poi certo: le elezioni sono calcoli e tattiche, se la base sandersiana non si “converte”, foss’anche per qualche mese, a Biden, i conti a novembre non torneranno. Per questo l’ex vicepresidente sta mettendo a punto una nuova offerta politica che tenga conto di un elettorato e di una contingenza – la pandemia – che richiedono un maggior interventismo statale, cioè più sinistra. “Non c’è modo che Biden diventi a favore del Medicare for all”, scrive il sito Axios, sottolineando che pur in emergenza e in corteggiamento la natura moderata dell’ex vicepresidente l’avrà vinta, ma ci sono stati già alcuni avvicinamenti alle posizioni più radicali sui finanziamenti per gli studenti e sui regolamenti degli istituti finanziari. La scelta della compagna di ticket – si sa solo che sarà femmina – a questo punto diventa molto rilevante per capire quante chance ha un futuro unito del Partito democratico (finora è stata molto una faccenda di slogan e hashtag).

 

Starmer e Biden, con pesi e ruoli diversi, sono la prima dimostrazione fattiva di un desiderio nuovo e forte di buon senso, di unità, di normalizzazione anche. E per la prima volta da molto tempo l’approdo a un partito “smart” sembra più vicino. Soprattutto: non è un accidente, è volontà politica.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi