Il presidente russo con la tuta protettiva visita un ospedale di Mosca dove sono ricoverati i malati di coronavirus (foto LaPresse)

Quarantena russa

Micol Flammini

Una nazione che ne racchiude mille, disorientata e insicura. Così è cambiata Mosca, ora alle prese con il virus, dopo vent’anni di Putin

Non è vero che la Russia è sempre uguale a se stessa. Identica da vent’anni, fedele a princìpi eterni, immutabili, reiterati e in cui forse non ha mai creduto. La Russia è cambiata eccome e se come punto di partenza per questa nuova nazione si prende l’arrivo di Vladimir Putin al Cremlino, il 26 marzo del 2000 veniva eletto per la prima volta presidente della Federazione russa, ci si accorge che da qualsiasi parte la si guardi ci si trova sempre davanti a una nazione completamente diversa, multiforme. In continua evoluzione. Mai stanca di adattarsi a quello che le succede attorno. E’ stato questo il grande successo dell’uomo del Cremlino, il suo essere funambolo ancor prima che presidente. In questi venti anni ha cambiato forma più volte e adesso, mentre si prepara a farsi nominare presidente a vita, a cambiare la Costituzione e a farlo, soprattutto, attraverso il consenso dei russi che dovranno esprimersi con un referendum, è arrivato qualcosa di inaspettato che ha sconvolto tutto il mondo. E sconvolgerà anche la Russia, se non lo ha già fatto – perché dati alla mano, quelli diffusi da Mosca, per il momento la situazione del Covid-19 lì non è ancora esplosa. I contagi hanno superato i mille e una settimana fa il presidente russo aveva detto ai suoi cittadini che non c’era nulla di cui preoccuparsi, che la Russia era stata brava a chiudere tutto sin dall’inizio, soprattutto il confine con la Cina, e a bloccare negli aeroporti e nelle stazioni chi arrivava da zone a rischio, “la situazione è sotto controllo”, aveva detto il presidente. Non tutti gli hanno creduto, alcuni medici hanno cercato di dire che no, in Russia non andrà tutto bene, perché già in alcuni ospedali, anche in condizioni normali, mancano protezioni essenziali, come le mascherine. Poi sono arrivati i dubbi sui tamponi, un laboratorio di Novosibirsk aveva il monopolio per la produzione e secondo diversi scienziati i kit utilizzati davano come risultato dei falsi negativi. E mentre il presidente russo a suo modo continuava a ripetere che andrà tutto bene, perché la Russia era stata in grado di prevenire e quindi non aveva bisogno di curare, alle porte di Mosca iniziava a sorgere una nuova struttura costruita in tutta fretta e pronta per accogliere i malati di coronavirus.


“La situazione è sotto controllo”, aveva detto Putin mentre il mondo sollevava dubbi su come la Russia stesse gestendo l’emergenza


 

L’epidemia, anche in Russia, ha il suo palcoscenico principale, la sua Lombardia, che però è la capitale e come è successo in Spagna, dove è Madrid il focolaio principale, e negli Stati Uniti, dove New York ha spento una delle sue mille luci alla volta, quando è la città più grande ad ammalarsi gli effetti del contagio iniziano a espandersi con ancor più velocità. Mosca soffre più del resto della Russia, il centro (quasi esatto) della nazione è quello più infetto e il sindaco Sergei Sobyanin, putiniano – secondo qualcuno anche possibile successore del presidente russo, quando ancora si pensava che il presidente stesse pensando a dei successori – in carica dal 2010, ha iniziato a prendere qualche iniziativa per conto suo, senza aspettare il Cremlino. E’ comparso un leader all’improvviso, il sindaco si è intestato la lotta contro il virus. Per la città sono spuntati dei manifesti in stile sovietico con la faccia di Sobyanin, molto sovietica già di suo – zigomo alto, mascella volitiva e capelli a spazzola – che incita gli operai: “E’ questione di minuti!”. Adesso la sua carriera è legata, drammaticamente, al numero di vite che riuscirà a salvare nella capitale. Il presidente non sembra così preoccupato e non gradisce le sorprese. L’iperattività di un fedelissimo che si muove in senso opposto al suo è una situazione inedita – chissà come procederà la carriera politica di Sobyanin, si chiedono in molti, soprattutto i moscoviti – e anche rischiosissima. Per Sobyanin e per Putin. Il sindaco potrebbe vedersi allontanare dalla cerchia del putinismo o diventare un eroe, se non nazionale, quanto meno cittadino. Il presidente invece potrebbe trovarsi per la prima volta, e proprio nell’anno dei suoi vent’anni al potere, di fronte al suo primo vero rivale che, al suo contrario, ha cercato di prendersi cura dei cittadini.

 

Il virus mette addosso una grande voglia di fare previsioni e domande: e se fosse questa crisi, sanitaria e non politica, a mettere per la prima volta in difficoltà il presidente russo? L’anniversario dei vent’anni, il referendum costituzionale il giorno del compleanno di Lenin (il 22 aprile), la prima donna ad andare nello spazio, Valentina Tereshkova, che propone alla Duma di eliminare il limite dei mandati, il coronamento del “Putin per sempre” aveva trovato i suoi simbolismi perfetti. Poi è arrivato il coronavirus.


Joshua Yaffa: “In questi vent’anni la Russia è cambiata in continuazione, ogni èra ha avuto il suo Vladimir Putin”


 

Se ne è accorto anche Putin, in ritardo. E ha deciso di prendersi la scena, dopo aver sottovalutato non soltanto la letalità del virus ma anche gli effetti della pandemia sulla sua presidenza. In Italia ha mandato aiuti militari, lo show delle camionette dell’esercito russo che percorrono le strade italiane, le strade della Nato (come ha sottolineato una giornalista russa) era rivolto anche ai suoi cittadini. In Russia invece è apparso in tuta gialla, tutto bardato, in uno degli ospedali di Mosca che ospita i pazienti Covid-19 e poi ha tenuto un discorso a reti unificate. Si è fatto attendere per quasi due ore. I suoi ritardi sono celebri, persino creati ad arte, i maligni dicono che all’inizio della sua carriera i suoi omologhi non si accorgessero neppure se era nella stanza. Il ritardo è diventato una strategia tutta putiniana, non gradita a nessuno. Nel suo discorso ha annunciato la chiusura parziale del paese, non un vero lockdown ma una settimana di ferie, ha detto che poi ci penseranno i governatori locali a imporre, se lo riterranno necessario, delle misure più restrittive. Putin non dà mai cattive notizie, e infatti di ordinare la chiusura della città se ne è occupato Sobyanin. Scuole, bar, ristoranti, parrucchieri, parco giochi, anche la bellissima Disneyland russa, aperta soltanto un mese fa. Poi il presidente, rivolgendosi alla nazione, ha aggiunto l’altro dettaglio, quello per lui più doloroso, ha annunciato che il referendum non potrà tenersi in aprile, meglio rimandare, forse a giugno: “Sapete quanto la riforma costituzionale sia importante per me, ma la salute lo è di più”. Dovrà attendere ancora un po’ e ha davanti ancora alcuni mesi per sbagliare. Mentre gli aerei dell’aeronautica russa scrivevano in cielo “Abbiate cura di voi, restate a casa”, la gente correva ai supermercati a fare scorte, spinta non soltanto dalla preoccupazione sanitaria ma anche da quella economica.

 

Mentre il mondo era distratto, o meglio, mentre il mondo era impegnato, il presidente russo ha anche deciso di rompere la pace interna all’Opec plus facendo a gara con l’Arabia saudita a chi vendeva il petrolio al prezzo più basso. Il rublo è così sceso ai minimi dal 2016, i giornalisti russi raccontavano di file agli sportelli di cambio per convertire i risparmi in euro e in dollari. La baraonda gli si è rivoltata contro, non che i cittadini prima non si lamentassero già delle difficili condizioni economiche. Le guerre costano, diceva prima il presidente. Ma dopo l’annessione illegittima della Crimea nel 2014, le guerre hanno smesso di interessare la popolazione russa e l’idea di impoverirsi per continuare a combattere in Siria non piaceva più. Scomparsa la scusa dello sforzo bellico, lo scorso anno Putin, per la prima volta, aveva detto che a danneggiare l’economia russa sono state le sanzioni occidentali. Ci risolleveremo, aveva promesso, ma in pochi gli credono e invece in molti temono l’arrivo di questa epidemia che, oltre a mettere a rischio l’economia del paese, mette a rischio la salute di tutti. Anche la Crimea non è contenta di come il Cremlino sta gestendo la questione, il governatore della regione ha anche detto che il ponte che collega l’Ucraina alla regione di Krasnodar, il Krymski most fatto costruire da Putin in tutta fretta per celebrare l’annessione della penisola e la sua quarta vittoria elettorale e anche con qualche accorgimento per dar fastidio alle navi ucraine – è troppo basso e le navi troppo alte – è pericoloso. Troppo traffico, troppi scambi, è il modo migliore per portare il virus dalla Russia alla Crimea.


Escono fuori nuovi leader in queste crisi e la lotta al virus la sta conducendo il sindaco di Mosca. Non è detto che Putin gradisca


 

Finora a far rimanere in piedi il putinismo è stato il vuoto che aveva attorno. La grande mancanza di alternative che ha posto i russi spesso di fronte a nessun altra alternativa che non fosse il presidente Putin. Joshua Yaffa, corrispondente del New Yorker, ha pubblicato quest’anno un libro, “Between Two Fires”, che spiega come è cambiata la Russia, quali sono le persone che hanno permesso a Vladimir Putin di rimanere al suo posto per vent’anni, nonostante le crisi, e come sono invece cambiati i russi, ormai assuefatti, stanchi, disinteressati, lontani. “La Russia è tutto fuorché coerente, è mutevole. Ha vissuto le sue ere, così come il mondo, e ogni èra ha avuto il suo Putin”. Liberale con i liberali, conservatore con i conservatori, il capo del Cremlino è sempre stato in grado di adattarsi alla forma che più gli conveniva. Vent’anni fa Putin non esisteva, è stato creato e chi lo ha creato se ne è poi pentito. Di lui si sapeva poco, tanto che appena arrivato al Cremlino il suo staff dovette chiamare dei biografi in grado di dare ai cittadini una storia sul loro presidente, degli aedi. Non brillava per carattere, ma certo per determinazione e per fedeltà, a questa difficile intelligibilità la giornalista americana Masha Gessen ha anche dedicato un libro, una biografia non autorizzata dal titolo “L’uomo senza volto”. La giornalista lo ritrae come un uomo capriccioso, arrogante, triviale, un bullo. Il suo grigiore non era certo il grigiore dei burocrati sovietici, lui ha introdotto nel discorso pubblico il linguaggio forte, al limite del volgare e a gran parte della Russia non è dispiaciuto. Ma a voltarsi indietro, a guardare come eravamo tutti vent’anni fa, a ricordare quello Eltsin mal fermo, ubriaco secondo le malelingue, e quel ragazzotto dal passo insicuro (il passo è sempre lo stesso) si vede che quel mondo lì non esiste più. Putin ha cercato il suo legame con il passato, ha anche riportato l’inno sovietico cambiando le parole, ma questa di oggi, modellata dal putinismo, è tutta un’altra Russia. “Non esiste una Russia sola, se la mettiamo su una linea del tempo, vediamo che tiene insieme tantissimi paesi insieme. La Mosca del 2005 non è la Mosca di oggi e non era quella del 2010”, dice Yaffa. C’è una caratteristica che è rimasta e che unisce gran parte del popolo russo ed è quel senso di disorientamento che dalla fine degli anni Novanta non ha mai abbandonato la nazione. “Putin è stato in grado di parlare al subconscio, in questo la Russia non è diversa da altre nazioni. Il presidente è ancora oggi in grado di fornire un punto fermo a questo popolo disorientato. Ha dato un senso di benessere, di stabilità, ha supplito a delle richieste politiche ma anche a delle necessità morali”. Il referendum costituzionale, la riforma della legge che gli impedirebbe una futura candidatura – la terza consecutiva – non ha colpito i russi e anche chi protesta, le nuove generazioni delle città più grandi, non ha dimostrato un grande interesse al rischio di una legge che potrebbe portare a un “Putin per sempre”.


Il Covid ha costretto il capo del Cremlino a rinviare il referendum costituzionale del 22 aprile, il voto sul “Putin per sempre” 


Le manifestazioni ora, a causa del coronavirus, non sono nemmeno permesse, il Cremlino è stato rapido a capire le opportunità che l’epidemia gli stava offrendo. “Ma anche in questo la Russia non è diversa dalle altre nazioni, una crisi sanitaria così grande potrà cambiare molte cose”, dice Yaffa. E anche lì, anche in Russia, dove tutto sembra immobile e invece è sempre in movimento, in affanno, in trasformazione, l’epidemia sta dimostrando l’impreparazione della classe politica e anche di un presidente che ormai ha identificato, in vent’anni, se stesso con la nazione. Se non lascia, se è disposto a rimanere al Cremlino fino al 2036, non è perché non sa a chi lasciare il suo posto. Il sindaco di Mosca Sobyanin, pericolosamente, si sta facendo avanti, gli assomiglia ma è più giovane, è un Putin minore, che adesso si sta dimostrando più presente di lui. Forse il capo del Cremlino non lascerà la politica fino a quando la nazione non gli assomiglierà. Ma a voltarsi indietro, a riguardare la Russia e il tempo perso in questi vent’anni, si vedono per la strada anche le occasioni perse. Mentre il paese si mette in quarantena e corre al mercato a far scorte di tutto, mentre costruisce ospedali e isola i suoi anziani, rimangono le domande, gli anniversari servono a questo. Qualcuno con più carattere e con più preparazione forse avrebbe lavorato per creare una Russia più forte, con un’economia più robusta e guarita dal suo perenne senso di disorientamento. Ma la Russia di Putin è una nazione che guarda se stessa, si fissa la pancia, “è gommapiuma”, dice Joshua Yaffa, cambia sempre per sopravvivere.

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