(foto LaPresse)

A Berlino ci saranno Pompeo e Putin, Haftar non può più sfilarsi. Per il momento

Daniele Raineri

Haftar nella capitale tedesca è costretto a negoziare. Vuol dire che i soldati italiani andranno a Tripoli

Roma. A questo punto la conferenza di Berlino di domenica prossima diventa un’occasione di pace molto concreta per la Libia, al posto dell’incontro di Mosca finito con un nulla di fatto tre giorni fa. E pensare che sembrava il contrario, che l’incontro di Mosca sarebbe stato decisivo e che la conferenza di Berlino avrebbe semplicemente definito i dettagli. Adesso la massa critica di leader da tutto il mondo che parteciperà ai negoziati in Germania costringerà il generale libico Haftar – che è il più recalcitrante – a qualche forma di compromesso. Ci saranno il presidente russo Vladimir Putin, il segretario di stato americano Mike Pompeo, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, il segretario della Nazioni Unite Antonio Guterres e molti altri. Questo vuol dire che per il generale sfilarsi diventa difficile, Haftar dovrà firmare una qualche forma di road map per la riconciliazione nazionale anche se, come vedremo fra poco, la tenuta sul medio-lungo termine è poco probabile. In teoria gli sponsor da cui dipende di più sono gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, ma è chiaro che questa volta non può permettersi di indisporre l’America, la Russia e tutti gli altri in un colpo solo.

 

Il fatto che la conferenza di Berlino sia diventata così cruciale vuol dire anche che la missione di pace italiana in Libia si avvicina. Se c’è un cessate il fuoco e tutto fa pensare di sì allora ci sarà bisogno di una forza di interposizione che lo faccia rispettare e ormai l’Italia si è impegnata. La missione gode di consenso politico unanime dentro alla maggioranza politica e non è una cosa scontata.

 

Il governo vuole una missione con forze della Nato e sotto l’egida delle Nazioni Unite e se a questo si aggiunge che da mesi invoca “più Europa” per risolvere la crisi libica si vede che l’intera faccenda sta diventando un caso di presa di contatto con la realtà. I Cinque stelle un tempo detestavano le missioni militari, la Nato e l’Europa, ora che sono al governo si preparano a decidere l’operazione all’estero delle nostre Forze armate più complicata degli ultimi quindici anni – come minimo.

 

Ieri il quotidiano britannico Guardian ha rivelato che i mercenari siriani trasportati nell’ultimo mese per ordine del presidente turco Erdogan dalla Siria alla Libia sono duemila e che vogliono formare un reparto combattente il cui nome sarà “Omar al Mukhtar”, che agli inizi del Novecento fu l’eroe della resistenza libica anti italiana. Gheddafi una volta si presentò a Roma proprio con la foto di Omar al Mukhtar appesa al petto, per provocare. E in teoria i mercenari siriani stanno dalla parte del premier di Tripoli, Fayez al Serraj, che gode dell’appoggio italiano. Lo scenario che attende la missione è un guazzabuglio di fazioni e forze che ispira pochissima fiducia.

 

Haftar non potrà lasciare Berlino senza un accordo, ma è un fatto che lui sogni ancora una vittoria militare definitiva che gli consegni la Libia. Più la crisi diventa una faccenda in mano ai diplomatici, più Haftar ha da perdere perché è costretto a cedere una parte dei pieni poteri che vagheggia. Più la crisi resta militare e più il generale conserva speranze di non dover dividere la guida della Libia con altri. Inoltre dopo questi dieci mesi di combattimenti e di minacce, è difficile che i due leader libici possano davvero fidarsi l’uno dell’altro. Haftar e Serraj hanno dato l’ordine alle proprie forze di catturare l’altro come fosse un criminale e si vorrebbero vedere morti. Anche in caso di un accordo, quanto ci vorrà prima che la situazione cominci a scivolare verso lo scontro armato? Il contingente italiano e di altri paesi europei è chiamato a una missione che non sarà per nulla di facciata.

 

È possibile che molti governi pensino a una soluzione di lungo termine che per ora non si può dire. Se Serraj e Haftar sono incapaci di arrivare a una conciliazione, allora presto o tardi dovranno essere sostituiti da qualcun altro che sia più disposto a collaborare per il bene della Libia. Tutti questi voltafaccia e queste trattative laboriose, come Serraj che rifiuta di atterrare in Italia una settimana fa e Haftar che fugge da Mosca per non firmare tre giorni fa, portano verso un qualche tipo di sostituzione ma è ancora presto per parlarne.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)