Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla Conferenza sulla Libia a Berlino (foto LaPresse)

Nessun successo a Berlino

Haftar in Libia si prende gioco della comunità internazionale. Poco da festeggiare

La mitica Conferenza di Berlino attesa a lungo come una svolta verso la pace in Libia è arrivata e non è successo nulla. I due leader, Fayez al Serraj e Khalifa Haftar, non hanno firmato l’accordo. Il generale libico chiuso nella sua stanza d’albergo a un certo punto ha smesso pure di rispondere alle telefonate della cancelliera tedesca Angela Merkel.

 

Alla fine ci sono stati tentativi blandi di raccontare che in qualche modo è stato un successo, “piccoli passi avanti” come ha detto il ministro degli Esteri russo Lavrov, ma la verità è che la Libia è uscita dalla Conferenza peggio di come ne è entrata: adesso i pozzi di greggio sono bloccati perché Haftar li vuole chiusi, così non ci saranno profitti e gli assediati a Tripoli non avranno più soldi. Ci saranno altri incontri per negoziare, a Ginevra e forse in Algeria, ma a questo punto dovremmo cominciare a fare i conti con la realtà. Stiamo continuando a dire “non c’è una soluzione militare in Libia” a un generale che invece pensa esattamente il contrario: per lui la soluzione militare c’è, prima la conquista di Tripoli e poi la sottomissione con le brutte maniere dei suoi nemici. E come lui la pensa anche il suo grande sponsor, che non è la Russia o la Francia come si sente dire, ma è l’emiro Mohammed bin Zayed degli Emirati Arabi Uniti, uno staterello del Golfo che ha meno abitanti della Lombardia ma nel 2019 ha investito 2,3 miliardi di dollari in spese militari. Finché l’emiro dice a Haftar di andare avanti con l’offensiva e ci mette soldi e aiuti militari quello non si fermerà. Una volta che si capisce questo punto, si inquadrano meglio anche le stentate manovre diplomatiche di questi mesi.

 

Haftar che sgattaiola via da Mosca senza firmare il cessate il fuoco. Haftar che non risponde alla Merkel. Il generale ha bisogno delle vetrine internazionali perché già si vede come leader di tutta la Libia ma non vuole un cessate il fuoco, vuole vincere. E questa sua brama scatena una reazione simmetrica: Erdogan porta in Libia i suoi mercenari siriani per difendere Tripoli e per rispondere alla violenza con la violenza. Se un incontro internazionale con Merkel, Putin, Pompeo, Macron, Johnson, Erdogan e Al Sisi non convince i libici a firmare un cessate il fuoco, il problema in Libia è ancora più profondo e orrendo di quanto pensiamo.