Emmanuel Macron (foto LaPresse)

L'intellò che manca a Macron

Mauro Zanon

"La politica culturale del presidente non è abbastanza chiara”, dice Alexis Kohler, segretario generale dell’Eliseo

Parigi. Ai visitatori della sera, quando le luci soffuse dell’Eliseo offrono un’atmosfera propizia ai discorsi alti, Emmanuel Macron è orgoglioso di presentare il piano che trasformerà l’attuale castello di Villers-Cottêrets, a metà strada tra Parigi e Reims, nel futuro museo della Francofonia. Ne parla con amore di questa tenuta, dove Francesco I, nel 1539, dettò l’ordinanza che rese il francese la lingua dei testi ufficiali.

 

È il “bebè” di Macron, come scrive il Point, il suo monumento, la sua grande opera, così come la Bibliothèque Nationale de France lo è stata per François Mitterrand, così come il Musée du quai Branly lo è stata per Jacques Chirac, così come la Philarmonie lo è stata per Nicolas Sarkozy. Eppure, il président-philosophe che voleva diventare scrittore e non presidente della Repubblica, sente che non basta questo cantiere, seppur importante, per dare un’identità alla sua politica culturale, che manca ancora qualcosa, o meglio qualcuno per mettere in musica il suo pensiero complesso. “Mi manca un Jack Lang”, ha detto recentemente davanti ai suoi fedelissimi.

  

  

Per Mitterrand, la cultura doveva essere il pilastro della trasformazione della società francese. E Jack Lang, da ministro, intellettuale e responsabile del prezioso portafoglio, fu una scelta azzeccata per portare avanti il suo progetto: in due mesi fece adottare la storica legge sul prezzo unico del libro cartaceo, per promuovere la lettura in tutta la Francia, e il budget dedicato alla cultura venne raddoppiato. Poi, ispirandosi all’Estate romana di Renato Nicolini, assessore alla Cultura della giunta Argan, lanciò la Fête de la musique: un successo culturale e sociale che continua ancora oggi. “Eppure ho mostrato di avere un’esperienza e una conoscenza che legittimano la mia funzione”, ha detto al Point Franck Riester, attuale ministro della Cultura, indebolito dalla frase di Macron. Prima di aggiungere: “Poi certo, ve lo concedo, non sono né è un gran pittore, né un gran poeta”.

 

 

La delusione del presidente, in realtà, è più legata al mandato nefasto di Françoise Nyssen, la fondatrice delle edizioni Actes Sud cui Macron aveva affidato la Cultura con grandi aspettative. Ciò non toglie che quella di Riester sia stata una nomina puramente politica che ha lasciato un sentimento di frustrazione nel presidente francese, e che l’assenza di un intellettuale, da quando se n’è andato Sylvain Fort (lo speech writer di Macron fino a inizio 2019), inizi a pesare anche nel racconto del macronismo. “Nella narrazione del quinquennio, c’è un mattonella mancante; la politica culturale del presidente non è abbastanza chiara”, ha riconosciuto lo stesso Alexis Kohler, segretario generale dell’Eliseo e braccio destro del presidente. L’assenza della mattonella di cui parla Kohler, oggi, sorprende un po’ tutti gli attori della cultura. “È un paradosso, conoscendo i gusti del presidente”, ha detto al Point un ex funzionario di rue de Valois, sede del ministero della Cultura. Il suo amore sincero per la letteratura, per il teatro, per il piano, e l’impronta degli autori citati con tanto ardore nei suoi discorsi, Stendhal, Gide, Camus, ancora non si vedono. “Fatica a sviluppare una politica culturale capace di parlare al grande pubblico (…) Mitterrand, lettore di Chardonne, curava la promozione del patrimonio, ma anche il lato festivo della cultura”, ha spiegato un fedelissimo al Point. Come Mitterrand, Macron vuole fare della cultura uno strumento di emancipazione sociale. Ma a differenza dell’ex presidente socialista, non ha ancora trovato l’intellò che lo aiuti a realizzare il suo progetto.

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