(Foto LaPresse)

“Il velo islamico seduce borghesi e femministe penitenti”. Parla Boudjahlat

Giulio Meotti

L’autrice di “Combattre le voilement” sul nuovo caso del chador. Ecco perché pecunia, sharia e relativismo sono un mélange letale

Roma. Nel 1989, a Créteil, la questione esplose sul caso di tre ragazze che entrarono a scuola velate. Trent’anni dopo, in Francia, si riparla di velo per il caso della madre criticata per aver accompagnato la figlia in gita scolastica indossando il chador. I macroniani sono divisi. Jean-Michel Blanquer, ministro dell’Istruzione, dice che “il velo non è desiderabile nella nostra società”. Bruno Le Maire, ministro dell’Economia, è altrettanto tranchant: “Il velo islamico non è il futuro desiderabile della cultura e della società francesi”. Sul fronte opposto il ministro per le Pari opportunità, Marlène Schiappa, la portavoce dell’esecutivo, Sibeth Ndiaye, e Cédric O, sottosegretario di stato all’Economia digitale.

 

“Grazie a Nietzsche lo sappiamo: ‘Nessuno mente tanto quanto l’uomo indignato’”, ha commentato ieri il Figaro. “In questa ennesima isteria collettiva attorno al velo islamico, tutto suona male, tutto è obliquo: una nevrosi collettiva che ci allontana da un problema tanto sensibile quanto centrale. Dal burqa al burkini, gli agitatori dell’islam politico mettono alla prova la resistenza della società francese. Basta lasciare il distretto dei ministeri e andare a Saint-Denis o Trappes per capirlo. Nella sfera privata, non spetta alla Repubblica decidere. Ma è suo pieno diritto e persino suo dovere esigere nei suoi servizi pubblici, come a scuola, che non vi siano equivoci. Ma i burqa sono esibiti con orgoglio, i predicatori dell’odio continuano i loro sermoni con impunità e l’imam frequentato da Mickaël Harpon, il terrorista della prefettura, è sempre sul nostro territorio. Questo è ciò che dovrebbe davvero oltraggiarci”.

 

Chi contro il velo si batte da dentro l’islam è Fatiha Agag-Boudjahlat, fondatrice del movimento Viv(r)e la République, che con la prefazione della femminista Élisabeth Badinter ha appena scritto il libro: “Combattre le voilement” (Editions du Cerf). “Africa e medio oriente sono punti ciechi per i promotori del #metoo”, dice al Foglio Boudjahlat. “E’ una cecità culturale volontaria: questi occidentali rifiutano alle orientali gli standard di uguaglianza e dignità che chiedono per sé. Deridono le donne americane che lodano la verginità ma non dicono nulla sulle ricostruzioni dell’imene in Francia. Questo sistema beneficia di borghesi penitenti e pseudo-femministe che attaccano il patriarcato bianco ma sostengono la sua controparte orientale, che gode di una scioccante immunità e impunità. Queste due correnti si uniscono per adottare tesi postmoderne e postcoloniali. E’ il principio della decostruzione: sono ciò che dico di essere nel momento in cui lo dico. I borghesi penitenti adottano il linguaggio postcoloniale e le tesi sul razzismo sistemico, il privilegio bianco”.

 

Quella sul velo, ormai, assume i contorni di una battaglia di civiltà. “E’ una battaglia globale per la dignità di donne, bambini e minoranze contro un’ortodossia religiosa totalitaria. E’ anche uno stress test per l’universalità dei diritti umani, se riusciamo a difendere per gli altri ciò che chiediamo anche per noi. C’è un nuovo razzismo al centro delle relazioni sociali”. Ma appare come una battaglia persa. “Lo è grazie alla legge, alle procedure giudiziarie. E l’abuso dello slogan ‘il mio corpo è una mia scelta’, che è oggettivamente alienante ma è presentato come emancipatore. La coesione nazionale è indebolita. Dalla codardia della politica, dall’entrismo islamista e da una classe politica che crede solo nell’economia. L’Europa non può essere vista solo come un erogatore di servizi. Esiste un legame tra questi servizi (scuola gratuita, cure…) e il passato giudaico-cristiano di questi paesi”.

 

Il velo è ormai considerato addirittura un segno di empowerment in occidente. “Queste donne stigmatizzate hanno potere d’acquisto, sono un nuovo mercato su cui hanno investito grandi aziende come Nike o Vuitton. Queste donne velate sono ingigantite, con modelli del velo sulle riviste, donne bellissime e di successo che indossano veli graziosi e accettabili per la borghesia occidentale che poi chiude gli occhi sul burqa, sul niqab e sul velo delle ragazze”. Boudjahlat sferza il doppio standard. “Perseguitano e deridono la chiesa, ma rifiutano ogni critica all’islam”. Pecunia, sharia e relativismo. Mélange letale.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.