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“Niente di nuovo” da Londra, dice l'Ue preparandosi al no deal (che è un costo per tutti)

David Carretta

Il principale obiettivo di Bruxelles è di evitare l’accusa di essere responsabile di un non accordo. Oggi il nuovo pacchetto d’emergenza

Bruxelles. La Commissione europea oggi lancerà un nuovo appello a cittadini e imprese affinché si preparino all’uscita senza accordo del Regno Unito il 31 ottobre prossimo. Una no deal Brexit “è una possibilità molto chiara”, ha spiegato ieri la portavoce della Commissione, Mina Andreeva, commentando l’ennesima giornata di caos politico a Londra. Dall’arrivo di Boris Johnson, l’Unione europea ha scelto il basso profilo, evitando polemiche, scontri e perfino commenti ironici. A fine agosto, negli incontri bilaterali con il premier britannico prima del G7 di Biarritz, Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno lasciato aperta la porta a un negoziato. In una telefonata con Johnson la scorsa settimana, Jean-Claude Juncker si è mostrato disponibile a dialogare. La Commissione ha accettato di ricevere due volte a settimana (il mercoledì e il venerdì) lo sherpa di Johnson per la Brexit, David Frost. Nel frattempo, si è rimessa in moto la macchina burocratica delle riunioni dei rappresentanti dei governi dei 27 nel formato “articolo 50” (l’articolo del trattato che stabilisce le modalità di uscita di uno stato membro). Ma nessuno, tra funzionari europei e diplomatici nazionali, si mostra ottimista. Quando Johnson e i suoi si sono messi a vantare “progressi” nelle discussioni con Bruxelles, che rischierebbero di essere frustrati dalla fronda dei remainers dentro ai Tory, perfino la sempre prudentissima Commissione si è sentita in dovere di reagire. “Abbiamo progressi nel processo”, perché “ci sono contatti a livello tecnico che non c’erano stati prima del G7”, ha spiegato la portavoce Andreeva. Ma sulla sostanza “non posso dire che ci sono proposte” da parte del Regno Unito, ha aggiunto: “Non c’è niente di nuovo” sui meccanismi alternativi al “backstop” per evitare il ritorno della frontiera fisica tra Irlanda e Irlanda del nord.

  

Il principale obiettivo dell’Ue è di evitare l’accusa di essere responsabile del no deal. Negli ultimi due mesi, i portavoce hanno ripetuto che la porta dell’Ue è aperta “24 ore su 24, 7 giorni su 7” e che il caponegoziatore Michel Barnier è disponibile a valutare “tutte le proposte concrete compatibili con l’accordo di ritiro”. Ma da David Frost non è arrivato nulla. Il problema di fondo è lo stesso che aveva dovuto affrontare Theresa May. Il backstop nella sua formulazione attuale – con il Regno Unito dentro all’Unione doganale, costretto ad adottare la regolamentazione europea in alcuni settori – è l’unico meccanismo che garantisce l’assenza di frontiera tra Irlanda e Irlanda del nord (condizione degli accordi del Venerdì Santo) e l’integrità del mercato interno. L’unica alternativa al backstop è quella che l’Ue aveva proposto nel dicembre del 2017, ma che era stata rifiutata dal Partito democratico unionista nord-irlandese (essenziale per garantire la maggioranza al governo Johnson come lo erano per il governo May) perché sancirebbe una separazione dell’Irlanda del nord dal Regno Unito. Tutte le altre ipotesi di meccanismi alternativi – legali o tecnologiche, o un mix delle due – al momento non sembrano percorribili. Johnson può minacciare quanto vuole di uscire il 31 ottobre “qualunque siano le circostanze”, “senza se e senza ma” (May aveva fatto la stessa cosa con la formula “a no deal is better than a bad deal”). Se David Frost non tirerà fuori dal suo cappello un’improbabile idea geniale che garantisca lo stesso risultato del backstop, l’Ue non è pronta a cedere.

 

Non che i 27 siano incoscienti sulle ripercussioni del no deal. Oggi la Commissione presenterà un nuovo pacchetto di misure d’emergenza, proponendo di usare il Fondo di solidarietà dell’Ue (destinato alle catastrofi naturali) e il Fondo europeo di adattamento alla globalizzazione (inventato per lottare contro le delocalizzazioni) per mitigare gli effetti di un no deal il 31 ottobre. Inoltre, gli stati membri saranno chiamati a coprire il buco nel bilancio europeo se Johnson metterà in atto la minaccia di non pagare il conto della Brexit. Germania, Olanda, Belgio, Irlanda e Lussemburgo sono i paesi che subiranno le conseguenze economiche più dure. Berlino e L’Aia fanno pressioni per il dialogo, sperando di convincere i britannici a un nuovo rinvio della Brexit. Ma il presidente francese, Emmanuel Macron, è convinto che non servirà a nulla e che semmai, per costringere Londra a firmare l’accordo, sia necessario spingere il Regno Unito sulla porta d’uscita. Ma le piccole divisioni tattiche dentro l’Ue non intaccano l’unità di fondo. In un negoziato asimmetrico, quando l’altra parte è in preda al caos, la priorità è quella di un vecchio detto inventato dai britannici per la guerra: “Keep calm and carry on”.

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