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La sorellanza dem

Daniele Raineri

Oppositori di Trump ai blocchi di partenza per scegliere un candidato. Tra moderati e attendisti, un gruppo di ragazze tiene la scena

Comincia la seconda metà del mandato presidenziale di Donald Trump (sarà la metà più complicata), comincia anche la corsa per le presidenziali e gli uomini e le donne che contano nel Partito democratico hanno strategie differenti per affrontare questa prima fase. Vediamole, ma non ancora di tutti perché per fare la ricognizione completa – considerato il gran numero di democratici che vogliono competere – non basterebbero altre tre pagine di questo giornale.

 

Alexandria Ocasio-Cortez non è candidata, ma ha attirato più attenzione di tutti i big del Partito democratico contro Trump

Bloomberg è una grande incognita. Ha poco a che vedere con il partito, ma la sua storia è speculare e opposta a quella del presidente

Alexandria Ocasio-Cortez (AOC d’ora in poi) è la giovane deputata di New York eletta al Congresso a novembre che ha la capacità di creare un’attenzione smodata su tutto quello che fa. In teoria non potrebbe fare già parte dei pezzi grossi del Partito democratico, in pratica se accendete Fox News i commentatori trumpiani parlano quasi sempre soltanto di AOC (meglio: parlano contro AOC) e sui social media si mangia tutti gli altri democratici. Per il pubblico sta alla pari con gli altri, i senior, ed è diventata il simbolo dello spostamento di tutto il Partito democratico verso posizioni più di sinistra. Ha messo su Twitter un video di lei che balla per nove secondi davanti alla porta del suo ufficio e quel segmento di nove secondi è stato guardato più di venti milioni di volte – centomila visualizzazioni al minuto nelle prime ore – e ha preso un milione di like. Il video era una risposta polemica a qualche antipatizzante repubblicano che aveva tirato fuori un vecchio filmato di lei che ballava su un tetto quando era studentessa a Boston assieme ad altri studenti e che lo aveva lanciato su Twitter come se si trattasse di chissà quale prova compromettente che l’avrebbe stroncata. C’è stato l’effetto opposto, il video del ballo da studentessa è diventato virale, quello del ballo da deputata anche, gli avversari politici ci fanno una figura così arretrata che nessuna agenzia di marketing politico avrebbe saputo escogitare di meglio per lanciare il suo inizio mandato al Congresso. AOC ha un tocco uguale e simmetrico a Donald Trump, qualsiasi cosa faccia crea interesse nei seguaci, odio viscerale negli avversari e raggiunge un’audience enorme. I democratici che in questi giorni si stanno candidando alle elezioni presidenziali per sfidare Trump se lo sognano un seguito così, per ora. Alexandria Ocasio-Cortez non corre per le presidenziali, ovviamente, ma a un certo punto durante le primarie esprimerà la sua preferenza per l’uno o l’altro candidato e si può stare certi che sposterà un numero significativo di voti e non verso il centro.

 

AOC, che poteva giocarsi questa celebrità tutta da sola, ha scelto una strategia comunitaria, da branco, anzi da sisterhood, che è la sorellanza versione femminile delle brotherhood – quelle associazioni studentesche nelle università americane che passano il tempo in prove di tostaggine che dovrebbero (in teoria) creare legami indissolubili nel tempo e a bere troppo. Mentre vanno sempre forti le leadership maschili e solitarie – Donald Trump o Matteo Salvini in Italia, oppure ancora il jupiteriano Emmanuel Macron – AOC ha imboccato la direzione contraria e ha scelto di fare gruppo con altre neoelette: vedi Jahana Hayes dal Connecticut, Lauren Underwood dall’Illinois, Katie Hill dalla California e altre ancora. Le foto di queste settimane ce le mostrano mentre girano assieme per il Congresso a fare finta di cercare Mitch McConnell, leader dei repubblicani, che si fa vedere poco in giro perché non vuole commentare lo shutdown governativo. “Beware of the Furies”, attenti alle Furie, le figure femminili che nella mitologia greco-romana impersonificano la vendetta, scrive Maureen Dowd, columnist del New York Times prima antibushiana, poi antitrumpiana e ora molto contenta di vedere il potere delle donne democratiche nel nuovo Congresso americano. L’idea di fondo di AOC per trovare un suo ruolo in politica è far prevalere la storia del gruppo sulla storia dei singoli, dove “il gruppo” per lei rimanda alle donne, alle minoranze e alla sua generazione. La leggerezza con cui procede porterebbe a credere che sia tutta una cosa spontanea, ma a questo punto dovrebbe essersi capito – come a suo tempo capirono in ritardo i democratici d’establishment a New York – che non si muove a caso.

  

Questa settimana Alexandria Ocasio-Cortez e altre due neodeputate, Rashida Tlaib molto fiera delle sue origini palestinesi – quella che la sera del giuramento a un party ha detto in video “Let’s impeach the motherfucker” – e la nera Ayanna Pressley sono state piazzate all’Oversight Committee della Camera, quindi alla commissione che ha il potere di fare inchieste e chiedere documenti al presidente e al suo clan. C’è chi dice che quei posti in Commissione sono ambiti, danno molta visibilità (ancora di più se c’è Trump di mezzo) e di solito vanno a chi ha più esperienza, e anche che la leader dei democratici Nancy Pelosi li abbia dati alle Furie in cambio di disciplina di partito. Voi concentratevi su Trump e il suo clan, che offrono infinite vulnerabilità, e non create divisioni dentro ai democratici tipo “pasionarie contro establishment”, sarebbe il testo non scritto dell’accordo. Le prime indagini della Commissione sono già cominciate e riguardano il processo di security clearance, quindi l’ammissione ai più alti livelli di segretezza del governo che presuppone controlli molto rigorosi. Ci sono almeno trenta casi di clearance che sono state concesse dalla Casa Bianca anche se gli esperti avevano dato un parere negativo e fra questi casi c’è Jared Kushner, marito di Ivanka e genero di Trump.

 

Fuori dalla sorellanza ci sono le democratiche che si candidano alle presidenziali. Questa settimana è arrivata Kamala Harris, che vuole essere la prima presidente donna e nera (i genitori sono due laureati di Berkeley che vengono dalla Giamaica e dall’India) ed è considerata una delle più forti. In meno di ventiquattr’ore dall’annuncio della sua candidatura ha raccolto un milione e mezzo di dollari e nella prima mezz’ora ci sono state donazioni da tutti e cinquanta gli stati americani, che è un buon indicatore del sostegno da parte dell’elettorato. Il video dell’annuncio della sua candidatura ha toccato tre milioni di visualizzazioni in un giorno, circa un sesto di AOC che balla in ufficio (nuova unità di misura dell’attenzione nazionale) e non è niente male. Il sito Politico scrive in una bella e lunga analisi che la strategia di Kamala Harris per vincere le elezioni contro Trump non si basa su qualche tema preciso che potrebbe entusiasmare gli americani (oppure non potrebbe: legarsi troppo a filoni specifici è un rischio) e ruota piuttosto attorno alla sua esperienza di pubblico ministero in California. Molti democratici vedono quella carriera come un difetto, pensano che lei abbia un’impostazione troppo Law&Order e che faccia parte acriticamente di un Sistema che dovrebbe essere riformato, altri democratici pensano invece che quel ruolo l’abbia resa tosta e credibile agli occhi di quelli che nel 2020 non voterebbero Trump ma nemmeno vogliono consegnare il paese a qualche esagitato. Per vincere le primarie e per continuare Kamala Harris scommette di riuscire a stare in equilibrio fra queste due posizioni.

 

Gli uomini del partito hanno scelto una linea attendista. Beto O’Rourke, che ha perso così bene le elezioni per diventare senatore del Texas che adesso è considerato un possibile vincitore alle presidenziali, per adesso nicchia. Si è imbarcato in un viaggio a tappe fuori dal suo stato per prendere contatto con parti del paese che non conosceva, si è un po’ defilato con la sicurezza di poter tornare con prepotenza a far parlare di sé, osserva le campagne spontanee che nascono qui e là per convincerlo a candidarsi. Sono campagne che di solito non riescono mai a convincere un politico che non si voleva candidare a entrare in gara – l’ultimo a farsi persuadere fu il generale Eisenhower – ma funzionano molto bene come pre-campagna per chi sa già che si candiderà. Raccolgono fondi, creano le strutture che serviranno, tengono caldi i media. Tre mesi fa Beto è arrivato a un paio di punti soltanto dal prendere il posto di Ted Cruz al Senato in uno stato ultrarepubblicano, ha raccolto un numero di donazioni record, ha attirato l’attenzione permanente di tutti i media, ha portato a termine in macchina una campagna paesello per paesello che i candidati in Texas prima di lui non avevano mai fatto (anche se i numeri dicono che i voti gli sono poi arrivati dalle città), ha un profilo che in mancanza di meglio alcuni definiscono “obamiano”, com’era il senatore Obama nel 2008. Capace di mobilitare.

 

Kamala Harris punta molto sulla sua carriera da pubblico ministero, ma molti dem a sinistra la vedono come una vulnerabilità

Il sito FiveThirtyEight dice che non è affatto sicuro che l’ex vicepresidente Joe Biden sarebbe il candidato di punta

L’altro grande attendista è Joe Biden, che i sondaggi danno per favorito contro tutti gli altri democratici se soltanto si decidesse a sciogliere le riserve e ad annunciare la sua candidatura. I candidati minori lo hanno già fatto perché sanno di avere bisogno di più tempo per farsi conoscere dagli elettori, Biden può contare su un capitale di notorietà e su una storia personale molto forti, ma anche lui come Beto non potrà aspettare ancora a lungo, perché chi arriva troppo tardi poi deve scontare uno svantaggio. Il sito FiveThirtyEight ha pubblicato un’analisi approfondita per dire che Biden potrebbe non essere in realtà il candidato favorito per le elezioni 2020 contro Trump. Se si studia l’elettorato democratico, spiega il sito, lo si può dividere in cinque categorie: i lealisti che votano democratico da una vita, la Sinistra, i millennial, i neri e infine ispanici e asiatici, che per qualche motivo si comportano in modo simile quando arriva il momento di votare. Ebbene, Biden è fortissimo nella prima categoria, ma non ha molta trazione nelle altre quattro e potrebbe non essere capace di riuscire a raggiungere gli elettori fuori dalla sua base. La Sinistra lo considera troppo conservatore, i millenial sono interessati ai suoi rivali più giovani, neri, asiatici e ispanici potrebbero fare con lui quello che hanno fatto con Hillary Clinton due anni fa e presentarsi in pochi ai seggi – una diserzione che aiutò moltissimo i repubblicani. Però, dice il sito con umiltà, è necessario fare attenzione alle analisi politiche che vogliono essere troppo fini: se i sondaggi dicono che Biden va forte allora va forte, sennò finiamo come nel 2016 in cui abbiamo sottovalutato Donald Trump e poi s’è visto com’è andata.

 

Il terzo attendista è Michael Bloomberg, il magnate di New York. E’ uno degli ultimi grandi incerti e in teoria non c’entra nulla con questo Partito democratico che come si è visto ha un debole per lo smottamento a sinistra e per i toni chiassosi, ma Bloomberg ha il non trascurabile vantaggio di essere miliardario e in questi anni si è costruito una storia solida di finanziatore di cause molto liberal come il controllo delle armi e il climate change. Se decidesse di annunciare tardi la propria candidatura potrebbe giocare contro Trump una partita molto facile da raccontare per i suoi esperti d’immagine, il manager democratico votato al salvataggio del paese contro il manager repubblicano adepto del caos. Resta da vedere l’attrazione che esercita sugli elettori, Bloomberg è sempre stato una presenza incombente sulle elezioni senza mai riuscire a diventare rilevante e ha un profilo che non s’adatta proprio allo spirito del tempo.

 

Last and probably least, c’è Bernie Sanders, il grande rivale a sinistra di Hillary Clinton nel 2016, che due anni dopo è così debole da essere irriconoscibile. “Has the fire Berned out?”, s’è spento il fuoco di Bernie? si chiedeva il Boston Globe una settimana fa. Fra tutte queste candidature, ufficiali o non ancora, dei democratici, Bernie Sanders è come se fosse essere rimasto senza energia, insabbiato tra le denunce delle volontarie molestate durante l’ultima campagna e invecchiato dal confronto con le nuove leve del Congresso arrivate a mid-term, che sono a sinistra come e più di lui ma fanno milioni di contatti sui social media e lo fanno sembrare un reperto del passato.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)