Petro Poroshenko alla Rada di Kiev (foto LaPresse)

A Kiev Poroshenko bada solo ai suoi obiettivi elettorali

Micol Flammini

Dal convinto europeismo al fallimento della strategia “esercito, lingua e fede”. Perché il presidente ucraino ora punta sulla crisi nel Mare d'Azov in vista delle elezioni di marzo

Roma. Le tre navi ucraine mandate a sorpassare lo stretto di Kerch sono ancora in mano ai russi, come in mano ai russi sono ancora i ventuno soldati ucraini – sei di loro sono feriti, due sono stati condannati a due mesi di carcere – che erano a bordo delle imbarcazioni. Dopo l’episodio di domenica, il presidente ucraino Petro Poroshenko si è riunito con i ministri della Difesa e dell’Interno e non è difficile immaginare cosa sia accaduto nel consiglio a porte chiuse. Usciti da quella riunione notturna, Poroshenko ha firmato il decreto per applicare la legge marziale in Ucraina. Una decisione studiata per un presidente che ha poche possibilità di vincere le prossime elezioni che si terranno il 31 marzo del prossimo anno, ma che vuole vincere a ogni costo. La decisione, se approvare o no la legge marziale, è poi spettata al Parlamento, la Rada, che inizialmente, durante il pomeriggio di lunedì, non sembrava intenzionato a cedere. Molti deputati si domandavano perché il governo non avesse chiesto l’applicazione della legge marziale mentre i russi mandavano armi e uomini a combattere nel Donbass nel 2014, quando centinaia di soldati ucraini morivano alla frontiere e invece, ora, per sei soldati feriti, e tre imbarcazioni sequestrate Poroshenko e i suoi sentivano questa esigenza, impellente. Il presidente ucraino in Aula rispondeva che i russi non hanno mai ammesso di essere presenti nel Donbass, non si poteva chiedere la legge marziale per un’invasione che il governo non poteva documentare – i mercenari non hanno le divise dell'esercito russo –, invece ora la Russia ha ammesso di preparare un’offensiva nel mare di Azov. Il partito di Poroshenko non aveva convinto la Rada nelle prime ore del pomeriggio, ha dovuto trattare, da sessanta giorni ha dovuto accontentarsi di trenta – anche se la gazzetta ufficiale ieri mattina riportava che la legge marziale sarebbe stata in vigore per due mesi – ancora non si bene da che ora partirà, sarebbe dovuta iniziare ieri mattina, ma nulla. Forse oggi alle 9 ora locale. Avrebbe dovuto riguardare l’intera nazione, ma l’opposizione capeggiata da Yulia Tymoshenko, ex primo ministro e favorita nei sondaggi per le prossime elezioni, ha insistito affinché riguardasse soltanto la parte orientale e soprattutto che venisse aggiunto un emendamento alla legge che renda impossibile posticipare il voto di marzo. In Parlamento non si è parlato dei soldati catturati, nel frattempo il capo della Marina ucraina ha scritto loro una lettera in cui li rassicurava: conosciamo i modi dei russi e “tutto il mondo civilizzato è dalla vostra parte”, ma si è parlato tanto di elezioni.

 

La campagna elettorale per Petro Poroshenko è iniziata da tempo. Già da quando nel 2014 si candidò alle elezioni per succedere a Viktor Yanukovich – russofilo, corrotto e fuggiasco – si presentò come un europeista, convinto sostenitore dei valori atlantisti, disposto a regolare i problemi di criminalità e corruzione di cui l’Ucraina soffre ancora. Secondo la classifica sulla percezione della corruzione stilata da Transparency international, Kiev è al centotrentunesimo posto, e la ong prende in esame centosettantasei paesi. La corruzione in Ucraina colpisce soprattutto le cariche dello stato, autorità e funzionari e Petro Poroshenko ha fatto ben poco dall’inizio del suo mandato. Ha preferito concentrarsi su altre problematiche, ha fatto leva sui sentimenti antirussi, sul nazionalismo, deludendo soprattutto chi nel 2013 e nel 2014 era in piazza a protestare contro Yanukovich, a chiedere di assomigliare un po’ più all’occidente e meno all’oriente.

 

Petro Poroshenko invece ha scelto un motto che dice tutto della sua presidenza, “Esercito, lingua, fede”. Non può fare campagna elettorale sui risultati economici, cinque anni dopo l’inizio della rivoluzione di Euromaidan l’Ucraina è il paese più povero del continente europeo, l’economia è bloccata ai livelli del 2013 e non ci sono svolte in vista mentre gli oligarchi e i funzionari corrotti continuano a depredare lo stato e a occupare posti di rilievo. Gli scandali non stanno aiutando il presidente, che vorrebbe vincere seguendo il sentiero percorso da tanti leader europei e non: il populismo. La strategia “Esercito, lingua e fede”, tre parole da usare in funzione antirussa, però non sta funzionando, nonostante le leggi varate per limitare l’uso della lingua russa in alcune zone del paese e la grande vittoria dello scisma, Kiev ha ottenuto l’autocefalia da Mosca. Nei sondaggi Poroshenko rimane non soltanto dietro a Yulia Tymoshenko, ma anche a Volodymyr Zelensky, un attore. Prendere chiare posizioni contro la Russia, inasprire le misure militari – l’esercito, la prima parte del suo slogan – potrebbe aiutare l’attuale presidente a recuperare. Petro Poroshenko sta mettendo in evidenza il suo patriottismo e vuole dimostrare che sarà lui l’uomo capace di strappare via l’Ucraina dall’orbita russa, ma dalla sua campagna elettorale è scomparsa l’Europa, sono scomparse le promesse atlantiste, tutto quello per cui era stato eletto dopo la rivoluzione. Ha un programma nazionalista duro e anche un po’ sospetto per un magnate della pasticceria, era soprannominato il “re del cioccolato”, che fino a pochi anni fa continuava a fare affari con Mosca.