Le proteste a Bucharest contro il governo in agosto (foto LaPresse)

La Romania è sempre più vicina a Visegrád e lontana da Bruxelles

Gregorio Sorgi

Sabato e domenica i cittadini voteranno per ridefinire il concetto di famiglia. Ma il referendum è una mossa per coprire i veri problemi del governo

Questo fine settimana in Romania si vota per modificare la Costituzione e limitare il concetto di famiglia esclusivamente all’unione “volontaria tra uomo e donna” per vietare i matrimoni gay. E’ stato il Partito socialdemocratico (Psd), al governo dal 2016, a convocare il referendum, fortemente voluto dalla chiesa ortodossa.  Stando ai sondaggi, la maggioranza degli elettori voterà a favore dell’esecutivo. L’opposizione spera che non venga raggiunto il quorum del 30 per cento, che renderebbe nullo l'eventuale risultato. Il governo ha approvato un decreto di emergenza per svolgere il referendum nell'arco di due giorni, sabato e domenica, nella speranza di superare la soglia richiesta.

 

Al di là del merito della nuova legge, il referendum rientra in un disegno più ampio del governo rumeno, che si sta avvicinando al modello di “democrazia illiberale” teorizzato dal premier ungherese Viktor Orbán. Il tempismo del voto non è casuale. Le firme per il referendum erano state raccolte nel 2016, ma il governo ha aspettato per giocarsi la carta al momento giusto. La direttrice dell'associazione Lgbt ILGA-Europe, Evelyne Paradis, ha scritto in un articolo su Politico che “il referendum è un'arma di distrazione di massa dagli scandali di corruzione che hanno colpito l'esecutivo negli ultimi mesi”. La Romania è al 57º posto nella classifica di Transparency International sulla corruzione (in Europa solo l’Italia e la Grecia stanno più in basso). Il sindaco della città portuale di Costanza, Radu Mazare, è stato condannato per corruzione al termine di un maxi processo durato più di nove anni. Cinque ministri dell'attuale governo sono stati indagati per lo stesso reato. Per combattere questa piaga è stata creata una Direzione nazionale anticorruzione (Dna), che ha già condannato un ex premier, cinque ministri e 25 deputati. Il potente leader del Partito socialdemocratico, Liviu Dragnea, dovrà testimoniare in Corte d'appello contro una condanna a tre anni e mezzo per abuso di ufficio.

 

Molti politici hanno accusato la Dna di agire secondo un criterio politico, e ne hanno limitato i poteri. Ad esempio, il Parlamento ha proibito l’uso delle intercettazioni in tribunale, un duro colpo alla battaglia contro la corruzione. Lo scorso luglio il presidente della Repubblica Klaus Iohannis ha licenziato il capo della Dna, Laura Codruta Kovesi, su proposta del ministro della Giustizia. Kovesi era stata ai vertici dell’anti-corruzione per cinque anni e si era guadagnata i complimenti dell’Unione europea per il lavoro svolto contro la criminalità. Nella sua conferenza d’addio aveva profetizzato che “la scelta del Presidente pone un grande interrogativo: in futuro i giudici verranno subordinati al ministro della Giustizia?”.

 

La rimozione di Kovesi ha sollevato un'insurrezione di massa. Ad agosto più di 100 mila cittadini, molti dei quali residenti all'estero, si sono riuniti nelle principali città rumene per protestare contro il governo. La manifestazione che si è svolta a Bucarest in Piazza della Vittoria è stata repressa dalla polizia, che ha causato più di 400 feriti, inclusa una troupe di giornalisti australiani. I politologi Maruis Stan e Vladimir Tismaneanu hanno detto che “la Romania è diventata il Nicaragua di Europa. Dragnea ha lo stesso ruolo del despota Daniel Ortega”. Tuttavia, i due studiosi spiegano che i manifestanti “appartengono a una nuova generazione che vede l'Unione europea come un punto di riferimento per la difesa dello stato di diritto”.

 

Molti osservatori accusano la Romania di aver preso una deriva autoritaria, sulle orme dei paesi di Visegrád. La commissione di Venezia del Consiglio d’europa, che tutela lo stato di diritto e ha già messo sotto accusa l’Ungheria di Orbán, ha scritto in un rapporto del 13 luglio 2018 che “le scelte del governo rumeno indeboliscono l’indipendenza dei giudici”. Lo stesso fenomeno ha dato il via alla procedura dell'articolo 7 dell'Ue contro Ungheria e Polonia. Il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, ha detto al Parlamento europeo che l’indirizzo politico del governo può riportare la Romania “ai tempi orribili” del dittatore Ceausescu. Anche i membri del Pse a Strasburgo hanno sottolineato che la scelta dei socialisti rumeni è incompatibile con i valori della loro famiglia politica. E in molti, sia a Bucharest sia a Bruxelles, temono che il referendum di questo fine settimana sia solo l'inizio.

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