Emmanuel Macron con il presidente slovacco Andrej Kiska (foto LaPresse)

Macron ha trovato un varco dentro Visegrád dove c'è un po' di europeismo

Micol Flammini

Il presidente francese in visita in Repubblica ceca e Slovacchia. Se con Orbán e Kaczysnki ci sono buoni motivi per arrabbiarsi, forse con Praga e Bratislava è arrivato il momento di mostrarsi un po’ più morbidi

Roma. Forse c’è un varco europeista anche a est e Macron – chi altri? – l’ha trovato. Ieri e oggi sarà in visita in Repubblica ceca e in Slovacchia, due paesi di quel gruppo di Visegrád che così ostinatamente si oppone all’Unione europea. La motivazione ufficiale è commemorare il centenario della creazione della Cecoslovacchia, nata dalla disgregazione dell’Impero austro-ungarico nel 1918 e finita nel 1993, ma Emmanuel Macron è lì per rafforzare i legami tra quella parte di Europa e la Francia che fino a qualche anno fa erano molto forti. Poi le due nazioni si sono posizionate sulla linea euroscettica dell’Ungheria di Orbán e della Polonia di Kaczynski, Parigi pensava di averle perse, eppure anche dentro Visegrád ci sono delle sfumature e il presidente francese lo ha capito. C’è l’urgenza di ristabilire delle relazioni, “Non possiamo arrabbiarci con tutta l’Europa orientale”, ha detto al Figaro un amico del presidente.

 

E se con Orbán e Kaczysnki ci sono buoni motivi per puntare i piedi e arrabbiarsi, forse con Praga e Bratislava è arrivato il momento di mostrarsi un po’ più morbidi e lasciare che dentro Visegrád crescano le divergenze. Queste sono le intenzioni di Emmanuel Macron. La Polonia e l’Ungheria sono governate da due autocrati – Kaczynski in realtà gestisce l’esecutivo senza avere una carica, è il presidente del PiS–, Repubblica ceca e Slovacchia hanno due governi compositi, i premier governano con una coalizione, non godono dello stesso consenso e soprattutto hanno delle posizioni meno conservatrici. “Ci sono europeisti ovunque”, aveva detto Macron, e ora è partito alla ricerca di questi europeisti anche a est. Perché se esiste una frattura dentro Visegrád, lui è intenzionato a calcarla.

 

Il gruppo è diviso in due, da una parte Polonia e Ungheria, dall’altra Repubblica ceca e Slovacchia, paesi che fanno parte dello stesso blocco, organizzano riunioni per stabilire e discutere una linea politica comune, che possibilmente faccia arrabbiare il più possibile Bruxelles, ma l’idea che costituiscano un’Europa dentro l’Europa, un gruppo compatto e convintamente sovranista pronto a obbedire alle direttive del teorico della democrazia illiberale, Viktor Orbán, non è poi così veritiera. Se contro Polonia e Ungheria l’Unione europea ha avviato una procedura di infrazione accusandole di violare lo stato di diritto, non può fare gli stessi rimproveri a Praga e Bratislava, che non si sono mai adagiate sull’ideologia orbaniana. Inoltre la Slovacchia fa già parte dell’Eurozona, mentre la Repubblica ceca vorrebbe aderire il prima possibile.

 

Finora i quattro paesi di Visegrád si sono dimostrati in sintonia per quanto riguarda l’immigrazione, si rifiutano di accogliere migranti, ma mentre Orbán non ha intenzione di spendere ulteriori risorse per Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, la Repubblica ceca e la Slovacchia sono disposte a investire per rafforzare le frontiere esterne dell’Unione europea. Se Orbán e Kaczynski sono felici di essere rappresentati come due leader in grado di turbare l’equilibrio europeo – il loro sostegno si basa anche su questa retorica – Babis e Pellegrini, il primo ministro slovacco, non la pensano così. Anzi, intervistato giovedì dal Monde, il premier ceco ha affermato di essere un europeista: “Voglio che l’Ue sopravviva. Questo progetto ci ha dato la pace. Dobbiamo rimanere uniti di fronte alle principali sfide internazionali come le sanzioni contro la Russia o il rischio di una guerra commerciale con gli Stati Uniti”.

Emmanuel Macron vuole riconquistare l’est, non tutto, soltanto la sua parte meno radicale. Se Viktor Orbán intende dividere l’Europa, l’intuizione di Macron è quella di spaccare Visegrád e, forse, l’idea non è poi così sbagliata.