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Sentsov sta morendo

Micol Flammini

Il regista dissidente ucraino è imprigionato in Russia. Macron si muove, la Lega è contraria al rilascio

Roma. Nelle foto diffuse dall’Alto commissariato per i diritti umani, Oleh Sentsov appare stanco. Capelli rasati a zero, come tutti i detenuti, e la divisa nera. E’ altissimo, smisurato rispetto alla cella siberiana in cui vive dal 2015. Lontano dalla macchina da presa – Sentsov è un regista –, lontano da Simferopoli – è ucraino ma per i russi è ormai russo – , da novanta giorni sta facendo lo sciopero della fame. Simferopoli, in russo e in ucraino si dice allo stesso modo, Simferopol’, la grafia è leggermente diversa, si scrive in cirillico, ma l’alfabeto di Mosca e quello di Kiev in qualcosa differiscono. Per Sentsov, Simferopoli, come tutta la Crimea, nonostante il referendum del 2014 in seguito al quale il Cremlino decise di annettere la penisola alla Russia, è Ucraina. Di quello che pensava non ne ha fatto mistero e per questo è finito in carcere. Nella foto dai colori lividi, del volto del regista rimane poco. Spiccano il naso e una fossetta sul mento. Oleh Sentsov ha annunciato lo sciopero della fame il 14 maggio. Chiede al Cremlino, che lo ha condannato a vent’anni in Siberia con l’accusa di terrorismo, di liberare i prigionieri politici ucraini. Ma Mosca non intende farlo e lo sciopero della fame del regista è andato avanti. Ai primi di giugno, durante lo show annuale a reti unificate, quando Putin risponde alle domande dei cittadini, qualcuno aveva chiamato lo studio televisivo in cui si trovava il presidente per chiedergli di accettare uno scambio di prigionieri: la liberazione del regista, in cambio del giornalista russo Kirill Vyshinski, arrestato a Kiev. Putin aveva spiegato che Vyshinski non era in prigione per terrorismo, quindi i due casi non potevano essere confrontati. Il capo del Cremlino non può liberare i prigionieri politici, sarebbe una resa che non si addice al pugno di ferro del suo governo, ma in un momento in cui il suo paese è bersagliato dalle sanzioni, accusato di un attacco chimico in Gran Bretagna, di coprire le stragi del regime di Assad in Siria, di violazione dei diritti umani nel suo paese, oltre dell’annessione illegittima della Crimea, non può nemmeno lasciare che un uomo muoia di fame nelle sue prigioni. Ma ci sono ben dieci ragioni, secondo il critico cinematografico russo Anton Dolin, per le quali il Cremlino non può ignorare lo sciopero della fame del regista. Dieci ragioni che stanno scuotendo anche l’opinione pubblica russa, soprattutto gli ambienti cinematografici, restii spesso a opporsi al Cremlino. Questa potrebbe diventare quasi più una questione di buon senso che di opposizione. Riassumendo i dieci punti, il messaggio di Dolin è chiaro: Sentsov è un personaggio pubblico, i suoi film hanno avuto un discreto successo e il mondo del cinema è dalla sua parte, gli garantisce visibilità. La sua condanna è fumosa, assurda, senza prove, Sentsov sta diventando un martire e sul suo esempio anche altri cittadini ucraini in prigione hanno iniziato lo sciopero, il fenomeno rischia di dilagare. Putin dovrebbe tenerne conto, i novanta giorni che il suo digiuno compirà il 14 agosto sono un rischio troppo grosso. Se il presidente russo non vuole agire per buoni sentimenti, dovrebbe farlo per pragmatismo.

 

Natalia Kaplan, cugina del regista, ha fatto sapere che la salute di Sentsov sta peggiorando, è “prossimo alla fine”, è disperato, vive in un “vuoto informativo”, chiede costantemente se qualcuno ha mostrato interesse per il suo sciopero che in realtà ha smosso tutti. Anche il Parlamento europeo il 14 giugno scorso, giorno di inizio dei Mondiali, aveva votato una risoluzione per chiedere la liberazione del regista. La risoluzione non vincolante era stata approvata con 485 voti favorevoli, 76 contrari e 66 astensioni. Tra i contrari molti italiani, un “no” che ha unito gli europarlamentari leghisti e nomi di sinistra emersi dalla lista Tsipras. Lo sciopero ha smosso anche il presidente francese Emmanuel Macron che ieri ha chiesto a Putin “di cercare insieme una soluzione umanitaria”. L’Eliseo ha comunicato che durante una lunga telefonata il presidente francese ha esposto al capo del Cremlino varie proposte e Putin “si è impegnato a dare una risposta”. Forse più sensibile alle spinte diplomatiche di Macron che al sentimentalismo di una madre. Ljudmila, madre di Oleh, il 22 giugno aveva mandato una lettera al Cremlino: “Le chiedo soltanto di non rovinare la sua vita”, scriveva. Forse non per la vita del regista ma per la Russia, Putin una risposta la darà davvero.

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