Trump e la Brexit, occhi negli occhi

Paola Peduzzi

I due spettri che dal 2016 fanno tremare i liberali si ritrovano uno di fronte all’altro a Londra. Il presidente Usa ha dubbi sulla proposta (soft) della May. Quanto è difficile vendere un compromesso

Milano. La Brexit e Donald Trump si sono trovati a Londra, i due spettri che dal 2016 fanno tremare i liberali uno di fronte all’altro. Theresa May, premier britannica, che pubblica il documento ufficiale sulle relazioni future del Regno Unito con l’Unione europea e il presidente americano che storce il naso, mi pare che con tale proposta la volontà del popolo britannico non sia stata del tutto rispettata. Il ritmo di questo show globale è incalzante: Trump arriva nella sua prima visita ufficiale nel Regno nel giorno in cui gli inglesi si devono riavere dalla sconfitta ai Mondiali di calcio (disconoscendo la scaramanzia, avevano scritto “it’s coming home” nel cielo, poi che lacrime) e devono digerire i dettagli del famigerato “accordo dei Chequers” – fragilità massima.

 

Si sono dimessi due ministri per via di questo accordo – David Davis e Boris Johnson – e non si fa che parlare di complotti, rivolte, piani di golpe: la May ha ceduto agli europei, dicono i falchi, con queste premesse otterremo una semi Brexit, una separazione in casa, in cui subisci i tormenti di un divorzio e non guadagni alcuna libertà. Trump arriva a Londra e dice la sua, l’uscita dall’Ue è stata determinata dall’immigrazione (duri con i migranti: per il presidente americano questa è garanzia di vittoria ovunque) e che probabilmente l’offerta della May non è quel che si aspettava chi ha votato Brexit. E nemmeno l’America: il ministero del Commercio di Washington ha fatto presente che per avere un accordo bilaterale è necessario che il Regno Unito rinunci ai regolamenti e ai vincoli esistenti oggi con l’Ue.

 

  

Invece il governo di Londra propone un’area di libero scambio tra Europa e Regno, che è un po’ una replica di quel che oggi lega il paese al mercato unico – fuori però dal mercato unico, come ripete ossessivamente lo spin governativo. Allo stesso modo, nel documento si parla di nuove regole per i cittadini europei che arrivano in Inghilterra, che in realtà contengono una data – dopo il 2020 – e il sostegno alle decisioni di assunzione delle aziende che operano tra l’Europa e il Regno, con garanzie che assomigliano molto a quelle esistenti. Nella lettera-riassunto che il governo ha mandato ai Comuni invece si parla di “fine della libera circolazione delle persone”, perché la May ha il problema di parlare con gli europei mentre deve convincere il suo partito a votarle l’accordo (e pure Trump, visto che è nei paraggi). Vale lo stesso schema per la Corte europea di giustizia: nel documento resta la possibilità che la Corte sia arbitro, quindi che abbia potere sulla legge inglese, ma nella lettera-spin si dice il contrario. Così tutti appaiono scontenti, soprattutto i Tory che già hanno detto che voteranno contro: per la May inizia una conta difficile, e poi ci saranno gli europei da convincere, sempre che il golpe annunciato non abbia successo. Si dormirà poco, insomma, da qui a ottobre, ma gli inglesi vogliono condividere almeno l’insonnia: ieri davanti all’ambasciata americana a Londra che ospita Trump è stata organizzata una manifestazione notturna con tamburi e musica alta. Gli spettri del 2016 si incontrano in città, passassero almeno una notte in bianco.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi