Miliziani curdi. “Abbandonarli dopo aver combattuto con loro contro gli islamisti sarebbe un errore morale imperdonabile”, recita un appello francese (foto LaPresse)

Abbandonare i curdi

Giulio Meotti

Hanno salvato i cristiani e sconfitto l’Isis al posto nostro: i curdi sono l’oasi delle minoranze. Ma l’occidente vigliacco li ha traditi tre volte

I curdi hanno un proverbio: “Non abbiamo amici tranne le montagne”. Ma ad Afrin neanche le montagne hanno potuto proteggerli dagli aerei da guerra turchi e dallo scempio delle milizie islamiste alleate di Ankara. Il video col cadavere di una combattente curda adesso grida vendetta e sta facendo il giro del mondo.

 

Anche se i filmati di esecuzioni terrificanti non sono certo una novità nel pandemonio della guerra siriana, in questo caso il video è stato girato da un gruppo alle dipendenze di un paese della Nato. Il fatto che la vittima fosse una donna nuda ha aggiunto orrore allo sdegno. Il video mostra alcuni membri delle milizie siriane che abusano del corpo di una combattente curda. Si tratta di Barin Kobani, alias Amina Omar, ventisei anni, uccisa per difendere Afrin, la città-cantone in Siria attaccata dall’esercito di Erdogan con l’aiuto delle milizie islamiste. “Questo è il bottino di guerra delle femmine suine del Pkk”, dice uno degli uomini nel video, riferendosi al Partito dei lavoratori del Kurdistan. Ma la milizia curda siriana, nota come People’s Protection Units o Ypg, non è considerata terrorista dai paesi occidentali e non ha alcuna affiliazione con il Pkk. La profanazione del corpo di quella ragazza ha finito per simboleggiare non solo la ferocia dei nemici dei curdi in questo ultimo capitolo della guerra in Siria, ma anche il senso di un enorme, insopportabile tradimento dei curdi per mano dei loro alleati della coalizione occidentale.

 

Ha scritto Rioufol del Figaro sui curdi: “Lo spirito di Monaco paralizza l’occidente”. Afrin come i Sudeti nel 1938

Chissà cosa avrebbe pensato, vedendo l’attuale comportamento dell’occidente sui curdi, Jacques Ellul, che nel 1978 scrisse Trahison de l’Occident ed evocò a lungo l’abbandono di quel popolo come esempio della nostra viltà. “Vergogna: l’occidente sta chiudendo un occhio sul destino dei curdi” ha appena scritto Ivan Rioufol del Figaro. “Ma hanno combattuto al nostro fianco nella guerra contro l’Isis. Erdogan definisce ‘terrorista’ questo piccolo popolo che arma le donne soldato, che ha i capelli al vento e che lascia la religione nella sfera privata”. I media occidentali hanno ignorato il destino dei curdi per concentrare tutta la loro indignazione su Assad e la battaglia di Ghouta (Damasco). “Lo spirito di Monaco paralizza l’occidente”, scrive Rioufol.

 

“Mia sorella, Barin, aveva combattuto a fianco della coalizione a Raqqa contro lo Stato islamico e in molti altri luoghi”, ha detto al Times Omar, dalla città di Kobane. “Come può esserci giustizia o fiducia tra alleati quando la coalizione ha permesso alla Turchia di attaccarci con le armi della Nato?”.

 

“Afrin è l’espressione più brutale di ciò che si chiama realpolitik”, afferma Didier Billion, vicedirettore dell’Istituto francese per le relazioni internazionali e strategiche. Khaled Issa, il rappresentante curdo siriano in Francia, ha dichiarato che l’attacco alla popolazione curda di Afrin è stato un atto di pulizia etnica. “Gli stessi che hanno combattuto coraggiosamente contro l’Isis sono oggi lasciati alla mercé dell’esercito turco”, ha detto Issa all’Afp. “C’è una responsabilità morale della comunità internazionale”. C’è stato un silenzio a dir poco vistoso dalla maggior parte dei leader mondiali su quella che è stata a tutti gli effetti un’invasione, ha scritto su The Hill Sandeep Gopalan, professore di diritto alla Deakin University di Melbourne.

 

Le cancellerie europee avevano intanto scaricato i curdi al loro destino. Basta pensare che il Segretario degli Esteri britannico Boris Johnson ha detto che “la Turchia ha il diritto di voler mantenere i propri confini al sicuro”. Mano libera contro i curdi. Seth J. Frantzman, direttore esecutivo dell’americano Middle East Center for Reporting and Analysis, scrive adesso sullo Spectator che “gli amici curdi con cui ho parlato sul terreno si chiedono se avevano motivo di sacrificare così tanto contro l’Isis a fianco delle potenze occidentali e se la loro lotta è stata vana”.

 

La battaglia di Afrin è stata la peggiore sconfitta per i curdi in Siria, con conseguenze spaventose. Almeno 820 combattenti delle forze curde e i loro alleati sono stati uccisi in azione. E molte altre morti devono ancora essere confermate. A paragone, 660 curdi morirono combattendo sotto le insegne delle forze democratiche siriane sostenute dagli Stati Uniti nella battaglia per Raqqa, la capitale del Califfato. L’offensiva guidata dai curdi contro l’Isis si è fermata ai primi di febbraio dopo che i comandanti erano stati costretti a deviare molte unità chiave per difendere Afrin dai turchi e dall’Esercito libero siriano. “L’attacco turco ad Afrin ci è costato il nostro slancio contro l’Isis in una fase chiave”, ha detto Roni Walat, un comandante curdo sul fronte di Deir Ezzor.

 

Sono gli unici a costruire in medio oriente una società rispettosa delle donne e delle minoranze religiose (ebrei compresi)

Per questo Robert Ellis ha paragonato Afrin ai Sudeti negli anni Trenta. “Due giorni prima di cedere i Sudeti alla Germania nazista a Monaco di Baviera nel settembre del 1938, il primo ministro britannico Neville Chamberlain liquidò la questione come ‘una lite in un paese lontano tra persone di cui non sappiamo nulla’. Praticamente lo stesso si può dire dell’atteggiamento dell’occidente verso l’attacco della Turchia all’enclave curda di Afrin nel nord-ovest della Siria”.

 

L’occidente ha tradito i curdi tre volte in tre anni. La prima a Kobane, la città al confine turco e i cui abitanti hanno combattuto per sfuggire a morte certa. Sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco definì quella città sotto assedio “una prova dell’impotenza occidentale”. Dopo Kobane, i curdi sono stati abbandonati durante il loro referendum per l’indipendenza lo scorso settembre. Soltanto Israele li ha sostenuti pubblicamente. Terzo capitolo di questa saga vergognosa, i curdi sono lasciati a se stessi durante l’invasione turca di Afrin, il cantone siriano dove tanti esuli e minoranze della guerra siriana si sono rifugiati.

 

Nella storia curda, incombe sempre il tradimento. Negli anni Settanta, i combattenti armati curdi sostenuti degli Stati Uniti insorsero contro Saddam Hussein in Iraq, come parte di uno sforzo per aiutare lo scià filo-americano dell’Iran. Poi, una volta che lo scià Pahlevi improvvisamente strinse un accordo con Saddam e non aveva più bisogno dei curdi, Washington si è semplicemente voltata dall’altra parte, ignorando le richieste curde di aiutarli a scongiurare un imminente bagno di sangue. E’ successo di nuovo ora che l’aiuto curdo non è più necessario nella campagna per rovesciare lo Stato islamico. Quanto andrà lontano l’occidente nel suo abbandono dei curdi di Siria?

 

Il 18 marzo 2018, l’esercito turco, sostenuto da islamisti per lo più siriani, ha preso la città di Afrin, causando la fuga di oltre centomila curdi. E in quest’abbandono ne va della reputazione occidentale. Perché i russi sono così rispettati in questa regione? Perché Vladimir Putin non ha abbandonato i suoi feroci amici baathisti siriani (alleati della Russia da cinquanta anni) quando si sono trovati in difficoltà, mentre gli Stati Uniti e l’Europa hanno scaricato l’egiziano Hosni Mubarak dopo solo una settimana di proteste a piazza Tahrir e ora fanno lo stesso con i curdi. Nel 2003, il generale David Petraeus chiese ai cittadini di Mosul di aiutarlo contro al Qaida e di credere nel progetto democratico americano avviato in Iraq. Dieci anni dopo, gli americani hanno abbandonato gli iracheni di Mosul alle grinfie dello Stato islamico per ben due anni e mezzo. Certamente per Washington non schierarsi con il governo federale del primo ministro iracheno Haider al Abadi durante il referendum curdo significava spingere l’Iraq, con le sue massicce riserve petrolifere, ancora più vicino all’Iran nemico degli Stati Uniti. L’opposizione all’operazione turca ad Afrin avrebbe accelerato la corsa del presidente turco Erdogan verso il presidente russo Vladimir Putin. E i curdi, i nostri migliori alleati, forse gli unici che condividono i nostri valori, sono stati abbandonati.

 

Al referendum di settembre soltanto Israele li ha sostenuti. E ora l’America di Trump vorrebbe uscire dalla Siria e scaricarli

Ma stavolta non è soltanto cinismo geopolitico. C’è di mezzo l’unico popolo che ha preso le armi contro l’Isis. “State coi curdi” titola il Times questa settimana. “Uno dei più gravi fallimenti della politica estera degli ultimi trent’anni è stato l’abbandono dei curdi da parte dei governi occidentali sulla scia della prima guerra del Golfo”. Il presidente americano Donald Trump paventa un nuovo abbandono e da alcune settimane va dicendo che con un Isis sconfitto le forze speciali statunitensi potrebbero lasciare la Siria. Quando, alla fine del 2014, l’occidente si decise a intervenire direttamente per liberarsi del Califfato, incontrò un ovvio problema. Come sconfiggere gli islamisti dal momento che noi occidentali non siamo più disposti a rischiare le truppe via terra? Con i curdi. Sono state le forze curde a dare soccorso in prima istanza a quegli yazidi in fuga dal genocidio praticato dall’Isis (a migliaia sono finiti nelle fosse comuni e nelle gabbie della schiavitù sessuale). Non esistono soluzioni facili in Siria e in medio oriente. Ma un principio valido da sempre in politica è quello che una grande potenza democratica e militare non dovrebbe abbandonare amici e alleati.

 

“La tragedia che i curdi stanno vivendo è il segno di un indebolimento senza precedenti dell’occidente” ha appena detto Bernard-Henri Lévy al Figaro. “E’ l’equivalente della battaglia di Adrianopoli, che precede la caduta di Roma? Spero di no. Ma la rassegnazione è stata un disonore così grande, così sconfortante, che si può essere di fronte a uno di quei micro-eventi apparentemente aberranti che segnalano un cambiamento del mondo. Questa non è la prima volta che l’occidente ha deluso i suoi alleati o nazioni sorelle. Fu il caso durante l’ascesa del nazismo. Poi con l’abbandono di mezza Europa al comunismo”.

 

“Se li abbandoniamo, non ci sarà più nessuno ad aiutarci a contenere nuove esplosioni terroristiche”, scrivono Kouchner e Bruckner

Erano gli alleati ideali, i curdi. Sono stati loro e soltanto loro ad aver aperto le loro città, come Erbil, a decine di migliaia di cristiani iracheni cacciati dall’Isis da Mosul e da Qaraqosh. Il Kurdistan iracheno è oggi l’unico posto in medio oriente, assieme ovviamente a Israele, dove un ebreo può indossare una kippah senza il rischio di essere fatto a pezzi dopo un minuto. Per questo Kamal Sido, direttore del dipartimento per la Società per i popoli minacciati in medio oriente e originario di Afrin, era in Israele a fine marzo per cercare di sensibilizzare la sua opinione pubblica sulla sofferenza dei curdi di Afrin.

 

In questi ultimi due anni, il governo regionale del Kurdistan è riuscito a proteggere collettivamente tutte le religioni come nessun altro, a parte Israele, riesce a fare. Nel 2015 il governo regionale curdo approvò la “legge delle minoranze”, che diede una manciata di religioni minoritarie – zoroastrianismo, yazidismo e giudaismo tra le altre – il diritto ai rappresentanti ufficiali. C’è anche un rappresentante ebraico, Sherzad Mamsani. Oggi si parla di 300-400 famiglie di origine ebraica, anche se la cifra è difficile da quantificare a causa dei matrimoni misti e delle formali conversioni all’islam che ci sono state negli anni.

 

Secondo l’ex parlamentare europeo Paulo Casaca, “il governo regionale curdo ha dimostrato il massimo rispetto per tutte le minoranze che sono state ampiamente perseguitate in altre aree dell’Iraq”. Quei curdi che hanno combattuto a fianco di americani e italiani nella guerra in Iraq nel 2003. Uno spot curdo andava in onda nelle televisioni degli Stati Uniti durante la guerra in Iraq. Un giovane iracheno che “batte un cinque” a un soldato americano, poi una sala da pranzo occidentale all’aperto e uomini e donne che ballano insieme. “Hai visto il nuovo Iraq?”, chiede la voce narrante. “E’ spettacolare. E’ gioioso”. “Benvenuti nel Kurdistan iracheno!”, continua la voce. “Non è un sogno. E’ l’altro Iraq”. Era davvero l’altro Iraq. Quei curdi tolleranti e pluralisti in un medio oriente sottomesso al fanatismo islamico.

 

“Abbandonarli dopo aver combattuto con loro contro gli islamisti sarebbe un errore morale imperdonabile” recita un appello francese firmato da Pascal Bruckner, Bernard Kouchner e Stephane Breton. “I curdi di Siria sono i vincitori degli islamisti che hanno causato i peggiori attacchi della nostra storia. Quando i giovani combattenti curdi vengono catturati dai jihadisti, vengono torturati, sventrati e tagliati a pezzi. Questa barbarie è insostenibile. I curdi sono anche i nostri unici alleati nella regione e hanno dimostrato la loro efficacia sul campo. Se li abbandoniamo, non ci sarà più nessuno per aiutarci a contenere nuove esplosioni terroristiche contro di noi. Infine, i curdi stanno costruendo una società democratica rispettosa del pluralismo etnico e confessionale e dell'uguaglianza tra uomini e donne. Avrà una profonda influenza in una regione dilaniata dalla tirannia”.

 

Per questo i paesi europei, con la Germania in testa, li avevano armati nella guerra contro l’Isis. Se non si meritavano uno stato, i curdi erano degni almeno della nostra protezione quando sono finiti sotto attacco, dopo averci aiutato a fermare la mano di chi ci ha fatto a pezzi nei boulevard parigini.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.