La chiesa del Santo Redentore ad Ani, in Turchia, già capitale del regno armeno (Immagini prese da Flickr – di Panegyrics of Granovetter)

"Così la Turchia ha spazzato via la cristianità". Parla lo storico Benny Morris

Giulio Meotti

“Il genocidio armeno non è stato un evento isolato. L’impero ottomano e poi la repubblica di Atatürk hanno compiuto un jihad ante litteram”. Intervista allo studioso israeliano sul suo nuovo libro

Siamo alla fine di dicembre 1895 a Urfa, nella moderna Turchia. Un “corpo di tagliatori di legna”, armato di asce, si fa strada nel villaggio, abbattendo le porte. I soldati si precipitano dentro e sparano agli uomini. “Un certo sceicco ordinò ai suoi seguaci di portare più giovani armeni che potessero trovare. In cento furono tenuti per le mani e i piedi, mentre lo sceicco, in una combinazione di fanatismo e crudeltà, procedette, recitando i versi del Corano, a tagliare loro la gola come nel rito del sacrificio delle pecore. ‘Quelli nascosti furono trascinati fuori e massacrati, lapidati, fucilati e bruciati vivi con stuoie sature di petrolio’. Altri armeni furono fucilati mentre correvano sui tetti cercando di scappare. Quando la strage ebbe fine, le case furono saccheggiate e date alle fiamme. All’avvicinarsi del tramonto, la tromba suonò di nuovo, chiamando le truppe e la folla a ritirarsi”.

 

Le atrocità ripresero il giorno dopo, con il solito suono di tromba all’alba. “Il maggior numero fu ucciso nella cattedrale armena, dove migliaia si erano radunati. Hanno sparato attraverso le finestre della chiesa, poi hanno sfondato le porte e ucciso gli uomini al piano terra. ‘I turchi allora spararono alla massa urlante e terrorizzata di donne, bambini e alcuni uomini nella galleria del secondo piano’. Ma uccidere gli armeni uno dopo l’altro era ‘troppo noioso’, così hanno introdotto lenzuoli imbevuti di petrolio e dato fuoco alla falegnameria e alle scale che portavano alle gallerie. Per diverse ore, ‘l’odore nauseabondo della carne arrostita pervase la città’. E per giorni, ‘gli uomini trascinarono sacchi pieni di ossa e cenere dalla cattedrale’”.

 

Questo brano è tratto dal nuovo libro The thirty years genocide di due storici israeliani, Benny Morris e Dror Ze’evi, che a marzo uscirà negli Stati Uniti per l’Harvard University Press e in Italia per Rizzoli. La Turchia non era un posto a caso, ma il luogo di nascita di numerosi apostoli e santi cristiani, come Paolo, Luca, Efrem, Policarpo, Timoteo, Nicola e Ignazio. Molti episodi citati nella Bibbia ebbero luogo lì. Le sue popolazioni autoctone – armeni, assiri e greci – erano state tra le prime ad aver abbracciato la fede cristiana. I primi sette Consigli ecumenici si svolsero lì (lì si sancì il dogma della maternità divina della Madonna e, per solennizzare l’evento, Sisto III fece costruire a Roma la basilica di Santa Maria Maggiore). Ma con quel “genocidio di trent’anni”, le autorità turche hanno completamente cancellato il cristianesimo. Di questo si occupano ora Morris e Ze’evi.

  

A Urfa, l’antica Edessa, “l’odore della carne arrostita pervase l’aria in città per diversi giorni dopo il massacro” 

Il loro nuovo calcolo complessivo delle vittime del “processo di turchizzazione e islamizzazione promosso” è sconvolgente. Poco prima dell’infuriare del primo conflitto mondiale, la popolazione in Anatolia e nelle Province orientali oscillava attorno agli 18-21 milioni di persone, tra cui 2,5 milioni di greci, due milioni di armeni e un milione tra assiri e caldei. Attorno al 1914, la popolazione cristiana anatolica e delle Province orientali si aggirava dunque attorno al 25 per cento della popolazione complessiva. Dopo il Trattato di Losanna, la demografia era stata ribaltata.

Secondo il censimento del 1927, la popolazione della Repubblica di Turchia, incluse l’Anatolia e le Province orientali, raggiungeva i 13,16 milioni di persone, di cui solo il 2,7 per cento erano non musulmani (ossia, approssimativamente, 368.500 persone). Il 93 per cento della popolazione cristiana anatolica e delle province orientali – più di 5 milioni di cristiani, il 22 per cento dell’intera popolazione di quei territori – semplicemente “scomparve” tra il 1914 e il 1927. 3,7 milioni di cristiani, ossia il 74 per cento della popolazione cristiana anatolica e delle Province orientali, furono deportati o uccisi (o ambedue) in quegli anni.

 

 

Lo storico israeliano Benny Morris, autore del libro "The thirty years genocide"


 

“Forse i cristiani in Turchia erano anche più di un quinto del totale quando i turchi hanno perso i Balcani, in Anatolia erano il venti per cento”, racconta al Foglio Benny Morris, il più noto dei “nuovi storici israeliani” che, dopo aver studiato per una vita il conflitto israelo-palestinese, ha dedicato gli ultimi anni a questo capitolo oscuro della storia turca. “Il pubblico generale ha familiarità solo con il genocidio armeno, avvenuto nel 1915-1916”, ci dice Morris. “Nel nostro nuovo studio discutiamo e dimostriamo che quel massacro non è stato affatto un evento isolato, ma fu parte di una sequenza di eventi più profonda e più ampia, che è andata avanti per trent’anni, con l’obiettivo di eliminare la minoranza cristiana in Turchia. Furono coinvolti tre regimi turchi, dall’impero ottomano alla repubblica di Atatürk.

 

“Le fiamme costrinsero migliaia di persone a saltare verso la morte in acqua o a essere bruciate. Il metropolita fu linciato in piazza” 

 Il risultato fu terrificante: all’inizio delle brutalità, i cristiani costituivano il venti per cento della popolazione dello spazio turco; alla fine, solo il due per cento. I greci moderni apparentemente non avevano una tale tradizione, quindi la gente comune non sa nulla di quello che è successo. Centinaia di migliaia di loro furono uccisi. Così erano la metà degli assiri nell’impero ottomano; il loro numero è diminuito da 600 a 300 mila. Fu una campagna di genocidio anticristiana. Una campagna di pulizia etnica religiosa. Parliamo da un milione e mezzo a due milioni di morti. Atatürk usò l’islam per purificare la Turchia quando i turchi stavano combattendo contro i greci, i russi, i francesi, e usò la religione per mobilitare la popolazione turca. Nessun paese vuole ammettere il proprio genocidio e la Turchia ne ha commesso uno immenso. A differenza dei tedeschi dopo la Shoah che si sono pentiti, i turchi hanno mantenuto una immagine idilliaca del proprio passato. Fu una guerra contro gli ‘infedeli’, un jihad ante-litteram”.

 

Ci sono state numerose ondate di jihad fra l’islam e l’occidente, continua Morris parlando al Foglio. “La prima fu l’invasione del medio oriente, il Nord Africa. La seconda fu contro i crociati nel Medioevo. La terza fu l’espansione turca fino alle porte di Budapest e Vienna. E oggi stiamo vivendo la quarta fase del jihad. La più grande conseguenza di quel genocidio è che oggi ci sono soltanto poche migliaia di cristiani in Turchia. Migliaia di chiese e villaggi sono stati spazzati via dalla faccia della terra. Tutto fu distrutto, dalle scuole ai cimiteri cristiani. La seconda conseguenza fu economica, i greci e gli armeni avevano una parte importante dell’economia turca nelle loro mani. Quando furono distrutti, la Turchia è piombata nell’abisso economico e ci avrebbe messo decenni a riprendersi. E’ il motivo per cui la Turchia è stata a lungo un paese primitivo. I paesi occidentali sono stati disposti ad accettare tutto questo. Gran parte dei musulmani vedono oggi l’occidente come sacrilego, eretico, infedele, e lo stanno respingendo. E il jihad ha questa funzione. Oggi stiamo assistendo a una guerra santa islamica globale, militare e culturale. In Turchia, una culla della cristianità, i turchi hanno distrutto la cristianità uccidendo armeni, greci, missionari americani, siriaci”.

  

“Il genocidio armeno fu parte di un più ampio progetto per eliminare la presenza cristiana in Turchia”, ci dice Benny Morris 

Per capire quanto sia stata efficace il genocidio, basta vedere oggi come è ridotta proprio a Urfa, dove ebbe luogo quel massacro, la storica chiesa assira di San Pietro e San Paolo. Adesso è utilizzata come scuola islamica dell’Università di Harran. Nel 2002 è diventata il “Centro culturale Kemalettin Gazezoglu”, dal nome del governatore della città. Lo studioso Ian Wilson descrive l’attuale assenza del patrimonio cristiano: “Per un cristiano… Urfa sembra non offrire nulla di interesse cristiano quando arrivi lì. Per quanto ne sappia, non c’è una sola chiesa cristiana e il minareto musulmano pervade tutto”. Urfa, un tempo la famosa Edessa, oggi è una città interamente musulmana. 

 

Il giornalista Raffi Bedrosyan ha scritto in un articolo apparso su Armenian Weekly che “oggi in Turchia ci sono soltanto 34 chiese e 18 scuole armene, per lo più a Istanbul, con meno di tremila studenti”. Erano circa 2,300 le scuole armene presenti in Turchia prima del 1915. Come ha spiegato Joseph Alichoran, uno dei migliori specialisti di storia dei cristiani d’Oriente, “la maggior parte dei cristiani di Turchia ha subito un genocidio tra il 1896 e il 1923, e tra quelli che non sono morti la maggioranza ha scelto l’esilio piuttosto che restare in un paese negazionista”. E come dimostrano Morris e Ze’evi, il genocidio degli armeni e degli assiro-caldei (1896-1923) è stato certamente ordinato dal movimento “laico” e modernista dei Giovani turchi, ma applicato nel quadro di una strategia nazionalista-razzista e islamista il cui scopo finale ufficiale era di “sradicare ogni presenza non islamica in terre originarie del cristianesimo universale”.

 

Il primo genocidio fu quello operato ai danni dei greci cristiani nei territori chiamati “Greci del Ponto” (a nord, sulle rive del Mar Nero) quando, tra 1915-1916 e 1923, un numero enorme di persone, tra le 500 e le 900 mila, morirono per fame e malattie, oltre che per mano diretta dei turchi. A Sinopi, in una sola notte, vengono uccisi più di cinquemila greci e si risparmiarono solo i bambini. Rafael de Nogales Mendez (1879-1936), un ufficiale di origine venezuelana che aveva prestato servizio nell’esercito ottomano, riferirà che l’ordine dei massacri fu dato dal ministro degli Interni Taalat Pascia: “Di oltre diecimila tra armeni, cristiani nestoriani e giacobiti, lasciarono i corpi ignudi in pasto agli avvoltoi e ai cani randagi”. Identica sorte toccò ad altri greci, quelli stanziati nell’Anatolia occidentale, sterminati da ancora prima, a partire dal 1914. Fu distrutta la chiesa di obbedienza nestoriana, la chiesa ortodossa siriaca autocefala e monofisita, la chiesa cattolica sira e la chiesa cattolica caldea.

 

“Di oltre diecimila tra armeni, cristiani nestoriani e giacobiti, lasciarono i corpi ignudi in pasto agli avvoltoi e ai cani randagi”

Il molo di Smirne divenne teatro di una disperazione tragica e finale, con le fiamme che costrinsero migliaia di persone a saltare verso la morte in acqua o a essere bruciate dal fuoco. Il metropolita ortodosso Crisostomo venne linciato in piazza. Le orecchie, il naso e le mani tagliate mentre veniva sgozzato. In un’intervista al quotidiano israeliano Haaretz sul libro, Morris ha detto che l’obiettivo era “creare una pura nazione musulmana”. Di quel mondo restano delle tracce sapientemente e con dolcezza ricomposte ora da Antonia Arslan nella sua nuova raccolta “La bellezza sia con te” (Rizzoli).

 

4.305 cristiani sono stati uccisi soltanto perché cristiani nell’ultimo anno, mille in più rispetto all’anno prima (3.066). La ong Open Doors ha appena pubblicato la lista dei cinquanta paesi dove più si perseguitano i cristiani. La Turchia si piazza al ventiseiesimo posto, cinque posizioni più in basso rispetto a un anno fa. Ogni giorno nel mondo vengono uccisi undici cristiani, ma per il nostro “ceto riflessivo” (media, intellettuali, opinion maker) non sembra una notizia interessante. Spesso delle stragi non si dà neppure notizia, così che è come se non fossero mai successe. Ogni mese 255 cristiani vengono uccisi, 104 rapiti, 180 donne cristiane stuprate e 66 chiese attaccate. Non vogliamo fare i conti con la tabula rasa dei cristiani d’oriente, a cominciare da quelli di Efeso un secolo fa. Come possiamo pretendere di interessarci o di mobilitarci adesso contro questa pandemia globale che è la nuova cristianofobia islamista?

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.