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Ora Putin volta le spalle al generale Suleimani per placare Netanyahu

Daniele Raineri

Russia e Iran divergono sul futuro della Siria del presidente Assad e Israele lavora su questa spaccatura strategica. “Bashar, molla gli iraniani!”

Roma. La Siria del presidente Bashar el Assad può prendere due forme nel futuro prossimo. Una è la forma che più piace al generale iraniano Qassem Suleimani, architetto della politica di sicurezza dell’Iran in medio oriente e capo delle operazioni esterne dei pasdaran – che a partire dal 2012 ha letteralmente salvato Assad dalle conseguenze della guerra civile. La Siria secondo questa dottrina dovrebbe diventare una parte sempre più attiva e combattiva della Muqawama, che è la parola araba che indica la “Resistenza”, quindi quel vasto assortimento di forze militari sparse fra Libano, Siria e Iraq che riconoscono l’Iran come guida e che hanno come obiettivo la vittoria contro Israele e la sua conseguente dissoluzione. Sarebbe uno stato-guarnigione dell’Iran. In questo caso continuerebbero a succedere episodi di guerra come quello avvenuto mercoledì notte, quando i soldati di Suleimani hanno sparato venti razzi dalle alture del Golan contro Israele e gli israeliani hanno reagito con un bombardamento massiccio che ha causato danni agli iraniani in tutta la Siria.

 

La seconda forma è quella a cui puntano i russi: una Siria finalmente stabilizzata, che potrebbe impiegare le sue (non molte) risorse per appaltare i lavori di ricostruzione a Mosca e magari anche la ricostituzione del suo esercito, un tempo molto forte e ora logorato dalla guerra civile. Sarebbe uno stato-cliente della Russia. In questa sua seconda forma la Siria non seguirebbe l’avventurismo iraniano, si rifiuterebbe di fare da rampa di lancio per operazioni contro Israele e inoltre concederebbe agli alleati di Mosca l’uso di basi importanti sulla riva del Mediterraneo e in mezzo al medio oriente. Infine, ed è un punto importante, questa Siria sarebbe meno attaccata alla dinastia Assad. (Raineri segue a pagina quattro)

Se prima o poi il rais fosse rimpiazzato con una transizione morbida, i russi non ne farebbero un dramma.

 

Ecco, ci sono segni importanti che Israele, dopo non avere ottenuto quasi nulla in più di un anno di richieste di attenzioni e di negoziati, stia riuscendo ad accordarsi con il presidente russo Vladimir Putin per una Siria che sia molto meno a immagine e somiglianza del generale iraniano Suleimani e più simile al secondo modello, anche se è un processo che potrebbe richiedere anni. Ieri il ministro della Difesa Avigdor Lieberman in visita alle alture del Golan che affacciano sulla Siria si è rivolto direttamente al presidente Assad: “Caccia gli iraniani! Non ti stanno aiutando. Fanno soltanto danni e la loro presenza porta soltanto problemi”. Poche ore prima era uscita una notizia che è un altro segno: la Russia ha detto – secondo il quotidiano Izvestia – che non sta più parlando con il governo siriano a proposito di una fornitura di missili S-300 come si era detto poche settimane fa e pensa anche che non ci sia bisogno di mandarne. Gli S-300 sono un sistema di difesa che renderebbe i raid israeliani contro gli iraniani in Siria molto più difficili. Gli S-300 sono anche un termometro politico di quello che pensa la Russia. Quando vuole sedurre o tranquillizzare un alleato mediorientale, Mosca annuncia subito un’imminente fornitura di S-300, quando c’è freddezza ritira la promessa. Ma il segno più chiaro di tutti è stato il tempo passato – dieci ore – dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu assieme al presidente russo Vladimir Putin a Mosca durante la parata per la Vittoria, poche ore prima del bombardamento massiccio contro gli iraniani in Siria. Teheran ieri ha rilasciato un comunicato velenoso e vago contro chi “non dice nulla e non critica i raid israeliani in Siria”.

 

Israele punta dunque a mettere in crisi il modello Suleimani. E pensare che fu proprio il generale iraniano, con due viaggi a Mosca nel luglio e nel settembre 2015, a convincere i russi che l’intervento in Siria per salvare Assad era fattibile. Gli iraniani ci avrebbero messo i soldati al suolo (milizie irregolari perlopiù), i russi gli elicotteri e gli aerei. La combinazione si era rivelata efficacissima (oltre che brutale) e aveva portato alla conquista di Aleppo in pochi mesi. A novembre 2015 Putin era andato a Teheran in visita ufficiale e aveva regalato alla Guida Suprema Ali Khamenei una copia preziosissima del Corano risalente al Settimo secolo, come suggello della partnership in Siria. Allora la presenza degli iraniani era ancora indispensabile nella guerra civile. Ma più si va avanti nella stabilizzazione del paese, e più Israele minaccia di incrementare i bombardamenti (al punto di minacciare di colpire il presidente Assad) e più gli uomini di Suleimani per la Russia diventano un problema invece che un aiuto.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)