Ribelli siriani a Jarablus, al confine tra Siria e Turchia, liberata dallo Stato islamico (foto LaPresse)

“Scudo dell'Eufrate”

Perché la Russia ha scelto di sostenere molte azioni dei turchi e ribelli in Siria

Daniele Raineri
Forze speciali americane, gruppi ribelli, gruppi islamisti, corazzati turchi: tutti alle porte di Dabiq, luogo sacro dell’Isis

Roma. Al giorno numero quarantadue, l’operazione militare della Turchia nel nord della Siria è arrivata alle porte di Dabiq, un villaggio insignificante nella campagna piatta a nord di Aleppo e a dieci chilometri dal confine turco che però è un luogo sacro per lo Stato islamico. Per inquadrare la situazione è meglio fare un passo indietro: meno di un anno fa la Turchia aveva appena abbattuto un bombardiere russo dopo una violazione dello spazio aereo (il 24 novembre) ed era accusata dalla grancassa dei media di Mosca di essere alleata con lo Stato islamico. Erdogan era dipinto allora come “il padrino dell’Isis”. Oggi Russia e Turchia hanno stretto un accordo politico e militare dopo un incontro discreto tra generali – il capo di stato maggiore russo, Valery Gerasimov, era in Turchia il 15 settembre – e in attesa di una visita ad Ankara del presidente russo Vladimir Putin a Recep Tayyip Erdogan (ma non era il padrino dell’Isis?). Che questa intesa ci sia si vede dalla mancanza di critiche reciproche in questi ultimi due mesi, che per tutti gli altri attori in campo sono stati come una rissa da bar. La Russia non ha battuto ciglio all’invasione di terra dei carri armati turchi e dei gruppi ribelli sul suolo siriano il 24 agosto, anzi, i media di stato, termometro fedele della linea politica, hanno celebrato l’avanzata dei ribelli contro “i terroristi” curdi (proprio così: terroristi). I turchi non spendono mezza parola sulla campagna aerea senza precedenti che russi e governo di Damasco hanno lanciato contro Aleppo est, che pure è in mano a gruppi appoggiati dai turchi. Ankara non commenta la distruzione di un convoglio di aiuti umanitari che – come hanno confermato le foto satellitari – è stato distrutto da un bombardamento aereo.

 

Ancora più incredibile è la composizione mista dell’operazione turca, che è chiamata “Scudo dell’Eufrate”, e che in condizioni normali scatenerebbe il fuoco degli organi di propaganda. Ne fanno parte molti gruppi dell’opposizione non islamista, come per esempio le brigate Sultan bin Murad – che in pratica sono una forza turca composta da volontari siriani – ma anche gruppi islamisti come Ahrar al Sham, che in arabo vuol dire “Gli uomini liberi del Levante” e secondo alcuni appartiene alla stessa categoria di al Qaida (è una generalizzazione scorretta, ma ci vorrebbe un saggio per spiegare le differenze). Assieme a queste fazioni, che sono state portate con alcuni bus dentro la Turchia e poi inserite di nuovo in Siria assieme ai carri armati dell’esercito regolare, ci sono anche almeno mille uomini delle Forze speciali turche e una quarantina di soldati delle Forze speciali americane. Questo corpo di spedizione eterogeneo nelle prossime ore attaccherà Dabiq, dove, secondo la visione apocalittica dello Stato islamico, gli aderenti del gruppo estremista combatteranno la battaglia della Fine dei tempi contro le forze del male guidate dal Dajjal, il falso profeta, l’Anticristo. Se l’Apocalisse non dovesse verificarsi, allora è probabile che l’operazione si allungherà verso la città di al Bab, “la porta” e potrebbe prima tagliare in due e poi ridurre a zero il territorio controllato dallo Stato islamico nel governatorato di Aleppo. Lo stesso Erdogan lo ha annunciato alle Nazioni Unite dicendo che la “zona di sicurezza” creata dalla Turchia è ora di circa 900 chilometri quadrati ma potrebbe espandersi a cinquemila, come se le Forze armate turche non fossero nel mezzo di un travagliatissimo periodo di purghe post golpe fallito.

 

A soffrire le conseguenze di questo allargamento sono i curdi, che per ora vedono sfumare il loro disegno di unire i cantoni nel nord della Siria e che denunciano bombardamenti aerei e di artiglieria turchi contro i loro villaggi (“è pulizia etnica”, protestano). Tutto questo, vale la pena ripeterlo, avviene senza che la Russia che ha il controllo dei cieli della Siria e che dispone a terra di un sistema antiaereo sofisticato come l’S-300 (e quindi potrebbe prendersi una rivincita facile per vendicare l’abbattimento di novembre 2015) pronunci una sola parola di disapprovazione. Gli stessi gruppi ribelli sono il bersaglio dei raid dei jet russi a sud e a ovest di Aleppo sul fronte contro gli assadisti, ma combattono indisturbati contro lo Stato islamico a nord-est della città.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)