Zac Goldsmith in campagna elettorale (foto LaPresse)

"Vi spiego perché il Labour è in stato confusionale". Intervista al candidato sindaco conservatore di Londra

Cristina Marconi
Non solo antisemitismo. Europa, Brexit, il futuro di Cameron. Il Foglio a tu per tu con Zac Goldsmith, candidato conservatore di Londra. Si vota il 5 maggio.

Londra. “Guarda la mia squadra di volontari. Sono molto internazionali e anche il resto di Londra è così”. E’ un sabato pomeriggio di fine campagna e Zac Goldsmith raggiunge un manipolo di sostenitori in una stradina assolata dell’ovest di Londra, quartiere ricco in cui già piace a tutti. Folla giovane da country club, belle donne molto truccate, una ragazza gli porta un coniglietto vivo e grassottello come portafortuna e Zac sorride a tutti, stringe mani con il suo spezzato blu – si sospetta – meno splendido di quelli che indossa di solito. Se l’aria è kennediana che più kennediana non si può, le maniere restano quelle gentili e quasi schive del ragazzo molto educato, quasi troppo. Del piglio da politico consumato non c’è traccia, della pirotecnia di Boris Johnson neppure e proprio il carisma di quest’ultimo, stando ai sondaggi, sarebbe il grande assente della campagna di Zac per la City Hall: per questo gli elettori sarebbero più orientati a premiare il self made man Sadiq Khan, laburista di lungo corso e di area milibandiana (tendenza Ed) nato in una casa popolare a Tooting da genitori pakistani, nonostante la sostanziale somiglianza delle politiche proposte dai due candidati.

 

YouGov parla di 20 punti di vantaggio per Khan, che ha sì promesso di abbassare il prezzo dei trasporti londinesi ma che, esattamente come Goldsmith, fatica a dare risposte alla difficile questione dell’emergenza abitativa della megalopoli. Con due candidati distinti da una oceanica questione di classe ma uniti da una mancanza di proposte forti, il voto del 5 maggio non ha scaldato gli animi e non sorprende: gli occhi sono tutti al referendum del 23 giugno. “La Brexit non è un problema del sindaco, il suo compito è aspettare la decisione dei britannici e farla funzionare, qualunque essa sia”, spiega al Foglio, aggiungendo che lui, in quella campagna lì, non è coinvolto. Eppure il figlio di James Goldsmith, leggenda in materia di euroscetticismo e di molto altro, l’ha detto chiaro e tondo: voterà per uscire. Se il 23 giugno la maggioranza si esprimesse allo stesso modo “Londra diventerebbe ancora più internazionale” secondo lui, che ritiene “da pazzi” pensare che la capitale britannica possa riavvolgere la pellicola e tornare tutta inglese.

 

“La Brexit non è questione di alzare i ponti e di dire no agli stranieri. Magari per alcune persone lo è, ma penso che per la stragrande maggioranza il problema sia di democrazia”, prosegue, e lì si capisce che siamo nel terreno delle convinzioni radicate di un globalista nato, lontano anni luce dall’antieuropeismo insulare e identitario di un Nigel Farage o di molti membri dei Tories, partito che – a sentire lui – non è affatto spaccato ma solo attraversato da un “dibattito civile su una questione importante”. La questione, in questa primavera prereferendaria, dilania un po’ tutti: “La comunità finanziaria, Londra, il Labour, la maggior parte della gente se si guarda ai sondaggi, sono tutti divisi sull’Europa”. Sebbene nel partito conservatore la faida in corso tra gli europragmatici di David Cameron e il capitano di ventura della Brexit Boris Johnson sia di quelle violente – “è una questione enorme e per questo siamo arrivati al referendum, ma il mio partito non è diviso” - per Goldsmith bisogna guardare al Labour e solo al Labour per vedere un partito sull’orlo della rottura. “Il partito impazzito, diventato matto”, lo chiama nel breve discorso ai suoi sostenitori, e non ci sarebbe modo per Sadiq Khan di allontanarsi da questa verità: un voto per lui è un voto per il Labour di Jeremy Corbyn.

 

“Il Labour è in stato confusionale vero. Un numero molto sostanzioso di moderati del partito non lo riconosce più e ci sono ferite aperte sull’antisemitismo, con cui ora devono fare i conti. E’ diventato un vero problema, dall’alto in basso”. Fosse l’unico. “Il Labour non è mai stato così ostile alle imprese, il leader ne parla come del vero nemico e cita gli scioperi come arma finale”. Quasi quasi si accalora, Zac. “Penso che il Labour sia conciato veramente male e che questa sia una prospettiva terrificante non solo per gli elettori ma anche per i membri del Labour”. E poi deve parlare con il governo, il sindaco di Londra. “Il mio rivale non è in grado di farlo, è troppo tribale”. Ma nelle ultime settimane l’argomento più contundente usato da Zac contro Sadiq è stato quello della presunta morbidezza di quest’ultimo nei confronti dell’estremismo islamico. Una mossa che in molti, anche tra i conservatori, hanno definito sporca e dietro la quale si intravederebbe la mano, pesante ma infallibile, di Lynton Crosby, stratega politico di Cameron e massimo teorico della strategia del “gatto morto”: si butta sul tavolo un gatto morto, o qualcosa di pari sgradevolezza, per fare in modo che tutti ne parlino disogliendo l’attenzione dal resto (il resto è che un Alcibiade miliardario ecologista e diligente, per dirla con il Financial Times, “non è una condanna, ma neanche un grande punto di forza” e che alla sua campagna mancherebbero idee forti).

 

Zac nega i colpi bassi a Sadiq, “un candidato molto determinato e deciso”, e proseguendo la sua chiacchierata con il Foglio puntualizza: “Non mi sono mai riferito alla sua religione, o alla sua etnia o alla sua provenienza familiare. Mai. Mai. In nessun momento. E’ una costruzione del Labour. Ho messo in discussione il suo giudizio perché in passato ha dato spazio di parola, ossigeno e anche scuse a gente che è dal lato molto sbagliato della battaglia ideologica più importante con cui abbiamo a che fare”. Le domande sull’estremismo andavano fatte, come già in passato sono state fatte a Jeremy Corbyn da Yvette Cooper in maniera del tutto legittima. “E’ giusto che lui risponda e che nessuno cerchi di aggirare la questione facendo accuse a caso di razzismo in maniera totalmente irresponsabile e sbagliata”. Anche perché se sarà eletto, promette, farà una squadra bilanciata da un punto di vista sociale, etnico, di genere. “Penso alla polizia. Se vuoi che la gente rispetti la polizia, occorre che la polizia rispecchi la gente”, continua prima di proseguire sul suo progetto di fare di Londra una grande Richmond – la sua costituency – tutta verde ed ecologica con la crisi abitativa risolta e la banda larga superveloce per tutti. Ma Richmond è un quartiere così ricco... “Accanto ai ricchi c’è la gente povera, sacche di privazione che forse soffrono più che altre persone nel paese perché se sei povero in una zona ricca le difficoltà a cui devi far fronte sono sproporzionate”. Non è l’esperienza che manca, sostiene: “Non c’è un problema che mi sia stato posto durante la campagna elettorale che non sia già stato posto nella mia constituency”. E quindi ce la farà, Zac Goldsmith? “I miei trascorsi dimostrano che posso, e che sia onesto e voglia mantenere le promesse”. E cosa manca allora? “Non ti dirò i miei difetti a cinque giorni dal voto”.