Il leader del partito laburista Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Così il Labour ha rinunciato alla sua anima progressista atlantista

Paola Peduzzi
Nel Labour britannico in questi ultimi giorni è successo di tutto, al punto che i giornali americani pubblicano articoli autoconsolatori: la campagna elettorale inglese assume toni “Trump style”. Non esageriamo, ribattono gli inglesi, ma certo la vigilia delle elezioni amministrative di oggi è stata velenosa.

Milano. Complotti, balbettii, scontri brutali. Nel Labour britannico in questi ultimi giorni è successo di tutto, al punto che i giornali americani pubblicano articoli autoconsolatori: la campagna elettorale inglese assume toni “Trump style”. Non esageriamo, ribattono gli inglesi, ma certo la vigilia delle elezioni amministrative di oggi è stata velenosa. La crisi sull’antisemitismo che imperversa da una settimana, ieri è finita nel Question Time ai Comuni, il premier David Cameron si è scagliato contro il leader laburista Jeremy Corbyn, chiedendogli conto dei suoi “amici” Hamas e Hezbollah, mentre Corbyn rispondeva con frasi fatte contro il razzismo e tentava di cambiare discorso – diciassette minuti di guerra. Nel frattempo il portavoce di Corbyn, quel Seamus Milne che in un suo celebre libro, “La vendetta della storia”, ha scritto il manifesto dell’antioccidentalismo di questa sinistra, non riusciva a rispondere a una domanda semplice: pensate di vincere come ha detto Corbyn?

 

Sul fronte londinese, il frontrunner Sadiq Kahn, che è dato ancora avanti nei sondaggi nonostante la confusione di questi giorni e la mobilitazione conservatrice contro di lui, si è ritrovato con due altre crisi da gestire: una relativa a una frase pronunciata nel 2009 (sì, lo spin dei Tory si è svegliato molto tardi), “non puoi scegliere sempre con chi parlare, non puoi parlare soltanto con degli zii Tom”, e si è scusato per quello “zio Tom” risultato fastidioso; e una relativa ai soldi che Kahn farà perdere ai locatari della capitale nel momento in cui dovesse applicare il congelamento degli affitti che ha proposto.

 

Come se non bastasse, i giornali si sono riempiti di voci di golpe nel Labour – “entro luglio”, “forse prima”, “l’ipotesi è molto probabile” – e il Sun, che si sta divertendo un mondo in mezzo a tanti veleni, ha lanciato il possibile nome del Bruto di Corbyn: si tratta della soave e sorridente Dame Margaret Hodge, parlamentare laburista dal 1994 che ha lavorato nel governo di Gordon Brown, che avrebbe già raccolto attorno a sé cinquanta colleghi pronti al fratricidio. Poiché la Hodge ha 71 anni, è percepita come una badante perfetta: se aiutata bene, può strappare il partito a Corbyn, senza però avere poi troppe ambizioni per se stessa. L’entourage di Corbyn smentisce, anche se persino i fedelissimi si lasciano scappare che qualche manovra è in corso. Molto dipenderà dal voto di oggi, che nelle previsioni non è rassicurante (si parla di 170 seggi persi), e certo le frasi di Corbyn sul fatto che il Labour “non è nel business della sconfitta”, poi ridimensionate dal suo balbettante portavoce, non hanno contribuito a ricostituire un pochino di ordine.

 

Come spesso accade in questi casi, l’ansia elettorale impone mosse e dichiarazioni che in tempi normali non ci sarebbero, o che sarebbero ponderate e diluite nel tempo. Le indiscrezioni sui complotti e i video di anni fa riesumati per dimostrare che gli esponenti del Labour condividono la stessa visione antisemita del mondo alimentano un fenomeno contrario: la volontà di molti laburisti di unirsi contro lo spin degli avversari per non farsi travolgere. Così la frattura interna al partito, che è profondissima e non riguarda soltanto l’antisemitismo (non riguarda nemmeno soltanto la Gran Bretagna a dire il vero), rischia di non essere mai curata. Il rabbino capo Ephraim Mirvis, che ha pronunciato parole molto dure sul tic antisemita del Labour, ha messo in guardia il partito: “Tutta la politica ha la responsabilità di eliminare l’antisemitismo dalla nostra società, ma non possiamo ottenere questo obiettivo con pose politiche o con promesse vuote di azioni che non si realizzeranno mai”. La cosmesi dettata dalla frenesia elettorale non basta.

 

Questa sinistra “rossa”, come viene raffigurata in tutte le vignette del Regno, ha programmaticamente deciso di posizionarsi in modo antiglobale, e questa visione implica una disaffezione nei confronti delle istituzioni internazionali, prima fra tutte la Nato, e degli Stati Uniti percepiti come il “male”, gli imperialisti che hanno voluto imporre la ricetta del capitalismo al mondo. L’antisemitismo rientra nella visione di questa sinistra  anti occidente. Come ha scritto Daniel Finkelstein ieri sul Times: “Quel che sta accadendo nel Labour non è soltanto l’esposizione della grossolanità di alcuni esponenti o di strani parlamentari che dicono cose imbarazzanti sull’antisemitismo. Piuttosto il Labour ha abbandonato la sua identità di partito progressista atlantista. Questo fenomeno non sarà fermato finché l’identità del partito non verrà riaffermata”.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi