Steve Hilton (foto LaPresse)

Anche l'amico-ideologo Hilton tradisce Cameron sulla Brexit. Come si cura un cuore (liberale) spezzato

Paola Peduzzi

Altro che la tenuta dell’Europa, il futuro dei trattati di libero scambio, l’instabilità, la recessione, la sterlina che impazzisce, altro che il contagio, ché se il Regno Unito esce dall’Europa a tutti verrà voglia di imitarlo. Altro che l’economia, la geopolitica, i calcoli finanziari: la Brexit sta inghiottendo un partito e con esso tutti i rapporti personali e professionali che lo hanno creato.
Fino a una decina di anni fa, il Partito conservatore era considerato invotabile: c’erano stati leader fiacchi, leader antipatici, leader arrabbiati mentre il blairismo continuava a incassare i dividendi della rivoluzione della sinistra degli anni Novanta. Nel 2005, durante la campagna elettorale che consegnò a Tony Blair la terza vittoria consecutiva, i tory erano nervosi, irritati, c’erano signore con i capelli bianchi che tiravano borsettate ai conservatori che non sapevano più dire qualcosa di vagamente condivisibile. Poi è arrivato David Cameron e ha cambiato tutto: le facce, la visione del futuro, il livello medio di ironia, e dal 2010 il Partito conservatore è tornato ad avere un elettorato, una credibilità, una linea – ha ricominciato a vincere. Dietro a Cameron ci sono da sempre amici, intellettuali e consiglieri che hanno costruito assieme a lui – a volte con dissapori, a volte con liti, a volte con porte sbattute in faccia e poi riaperte sul retro – quel che chiamiamo il cameronismo.

 

Ecco, la Brexit sta sfasciando il mondo di Cameron. Anche se il “remain” dovesse vincere, anche se il Regno Unito dovesse restare nell’Ue, il premier inglese dovrà rimettere insieme i pezzi del suo partito e del suo cuore, e c’è da augurarsi che sappia dotarsi di molta leggerezza perché se per caso dovesse assecondare l’istinto di vendetta, le ripercussioni sui tory potrebbero essere disastrose. Cameron aveva dato libertà di scelta sul referendum del 23 giugno: sapeva che non poteva costringere i suoi compagni di partito a diventare improvvisamente eurofili. Ha fatto lui stesso fatica a posizionarsi in quel mondo alieno in cui un inglese parla bene dell’Unione europea. Però Cameron non si aspettava di ritrovarsi con il cuore spezzato: Boris Johnson ha sofferto tanto – dice – e si è torturato ma alla fine ha deciso di schierarsi contro il premier e a favore della Brexit: tempo dieci minuti di dolore confessato, e via, facciamo che non ci siamo mai conosciuti. Michael Gove, ministro della Giustizia e uno degli intellettuali che ha creato il cameronismo dal nulla, ha sofferto tanto, si è torturato ma alla fine si è schierato contro il premier: sua moglie, che fa la giornalista, ha scritto che Michael era addolorato, ti prego Cameron non prenderla sul personale, lui doveva seguire i suoi valori. Pare che il premier e il ministro non si parlino più, e che quando Cameron incontra Gove – perché si devono incontrare – fissi la punta delle scarpe piuttosto che incrociare il suo sguardo.

 

Ieri infine ci si è messo Steve Hilton, il guru scalzo che davvero – davvero – ha fondato il cameronismo: fu lui a convincere Cameron a correre per la leadership dei Tory, fu lui a costruire gli argomenti per battere allora l’ala più conservatrice del partito, fu lui a consigliargli di cambiare team e di cambiare tono. Se il Partito conservatore è tornato cool, bisogna dire grazie a Steve Hilton, amico di sempre di Cameron, padrino di Ivan, il bambino che Cameron ha perso, un ideologo senza fronzoli – quando Hilton era a Downing Street si diceva che odiasse i pragmatici: bisogna avere delle idee, ripeteva, e bisogna difenderle, senza idee siamo finiti – convinto che i Tory potessero ritornare grandi nella misura in cui si avvicinavano ai piccoli, alle comunità, alla vita quotidiana. Ecco, ieri Steve Hilton, che in queste ultime settimane è molto citato sui giornali americani perché è appena uscito il suo ultimo libro lì e lavora in California in una start up che vuole avvicinare, appunto, i politici alle comunità in nome della trasparenza assoluta – ecco ieri Hilton ha scritto sul Daily Mail che rimanere in Europa sarebbe un errore, che il Regno Unito è molto più governabile se sta fuori da un consesso che vuole imporre le sue regole a tutti e quei tutti non le possono influenzare, figurarsi controllare. L’Europa secondo Hilton è contro il libero mercato e protezionista – come dice pure Gove – e fa male alla vocazione liberale degli inglesi. E’ questo il colpo più duro per Cameron, è questo il dolore che sarà difficile curare: eravamo tutti liberali insieme, eravamo uguali, eravamo uniti. E’ come quando un marito tradisce la moglie con una donna che le assomiglia, e la moglie si guarda allo specchio e non sa darsi pace: cos’ho io di così sbagliato, allora?

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi